Le mani delle ’ndrine su voto e Tav
L’arresto dell’assessore regionale Roberto Rosso per scambio elettorale politico-mafioso
Dalle elezioni amministrative nei comuni della cintura a quelle regionali, fino alla Tav, i cui lavori «è bene che proseguano». Erano molteplici e diversificati gli interessi di Onofrio Garcea, presunto boss della compagine ligure ‘ndranghetista dei Bonavota, inviato a Torino per rimettere in sesto il clan dopo le retate dello scorso marzo. Dalle carte dell’inchiesta «Fenice», che ha portato ieri all’arresto di otto persone, tra cui l’assessore regionale Roberto Rosso /Fratelli d’italia) con l’accusa di scambio di voti politico-mafiosi, emerge la disinvoltura con cui Garcea e il suo uomo di fiducia Francesco Viterbo si muovevano tra politica e imprenditoria.
Dalle elezioni amministrative nei comuni della cintura a quelle regionali, fino alla Tav, i cui lavori «è bene che proseguano». Erano molteplici e diversificati gli interessi di Onofrio Garcea, presunto boss della compagine ligure ‘ndranghetista dei Bonavota, inviato a Torino per rimettere in sesto il clan dopo le retate dello scorso marzo. Dalle carte dell’inchieste «Fenice», che ha portato ieri all’arresto di otto persone, tra cui l’assessore regionale Roberto Rosso con l’accusa di scambio di voti politico-mafioso, emerge la disinvoltura con cui Garcea e il suo uomo di fiducia Francesco Viterbo si muovevano tra politica e imprenditoria, pronti a movimentare voti o a diventare broker per uomini d’affari facoltosi. Insomma, una ‘ndrangheta in giacca e cravatta. Più raffinata, ma non per questo meno spregiudicata e penetrante.
Febbraio 2019 è un mese frenetico di contatti sul fronte politico. Il 24, alle 10, Viterbo — si legge nell’ordinanza — partecipa a una manifestazione di Forza Italia a Nichelino, invitato dall’imprenditore Giovanni Parisi: l’occasione è la presentazione del candidato Benedetto Nicotra, già sindaco di Santena. Intorno alle 12.15, Viterbo telefona a Garcea per informarlo dell’incontro a Nichelino con «4,5, onorevoli di Forza Italia». È scritto nei verbali che Viterbo racconta a Garcea «di aver parlato con l’onorevole “Napoli e Bertoncino”, con i quali hanno discusso sia “di dover prendere il paese in mano”, facendo riferimento alle elezioni amministrative del Comune di San Gillio, sia che i lavori presso il cantiere della Tav a Chiomonte devono proseguire». Garcea, inoltre, si sarebbe «interessato» anche alla candidatura di Domenico Garcea, 43 anni, iscritto a Forza Italia e consigliere della quarta circoscrizione.
Ma è poi con Roberto Rosso che il presunto boss ligure e il suo braccio destro sarebbero riusciti a siglare un patto in vista delle elezioni regionali: un pacchetto di voti in cambio di quindicimila euro, che poi si riducono a 8 perché l’assessore non è rimasto pienamente soddisfatto del risultato. La figura dell’esponente di Fdi viene descritta così dal gip: «L’indagato appare muoversi sul terreno elettorale come un novello Didio Giuliano, alla continua ricerca, in plurime direzioni, di occasioni di acquisto in stock del consenso democratico». Rosso, quindi, come l’imperatore romano, che nel primo secolo dopo Cristo, da potentissimo senatore, conquistò Roma comprando all’asta l’impero dai pretoriani che lo vendevano al migliore offerente. Un paragone che spinge il giudice a sottolineare: «Chi scrive ritiene sconcertante la posizione di Rosso, nel suo apparente mostrare il lato peggiore della nobile arte». La formalizzazione dell’accordo sarebbe avvenuta nell’ufficio di Rosso, in via Alfieri 18, e il pagamento in due tranche da 2.900 e 5.000 euro. A fare da tramite, secondo l’accusa, sono stati Enza Colavito, imprenditrice amica di Rosso, e Carlo De Bellis, quest’ultimo già coinvolto nelle indagini Minotauro e Big Bang.
C’è poi un terzo filone più strettamente economico-finanziario che vede sempre protagonisti Garcea e Viterbo. E in questo contesto spicca la figura di Mario Burlò (arrestato), imprenditore con interessi su tutto il territorio nazionale e sponsor di diverse squadre sportive: con il sostegno garantito dalla cosca avrebbe attuato un sistema di evasione fiscale attraverso il sistema delle indebite compensazioni per 16 milioni di euro.