Cirio: «In Giunta non lo volevo. Me lo ha imposto Giorgia Meloni»
Il presidente: «La mafia è il nemico. Valuteremo se costituirci parte civile»
«Io nemmeno lo volevo, me lo ha imposto Meloni». Così il governatore Alberto Cirio reagisce alla notizia dell’arresto dell’assessore Roberto Rosso. L’esito dell’inchiesta arriva quando la seduta in cui si dovrebbe discutere dell’assegnazione degli incarichi ai nuovi direttori della Regione non è ancora iniziata. E il colpo è durissimo.
«Io nemmeno lo volevo in squadra, me lo hanno imposto Giorgia Meloni e il suo partito». Come tutte le settimane, alla stessa ora e nello stesso giorno, al primo piano di piazza Castello gli assessori sono convocati per la consueta riunione della giunta regionale; ma quello che sta per cominciare non è un venerdì come tutti gli altri per gli eletti di centrodestra al governo del Piemonte. La notizia dell’arresto di uno di loro, Roberto Rosso, li prende in contropiede. Arriva quando la seduta in cui si dovrebbe discutere dell’assegnazione degli incarichi ai nuovi direttori non è ancora iniziata. E il colpo è durissimo. Il tintinnio delle manette, l’ombra della ‘ndrangheta scuote il palazzo. Il presidente Alberto Cirio cerca di allontanarla da sé. Si sfoga incredulo con i suoi. Ricorda i concitati giorni delle trattative per la formazione dell’esecutivo regionale, le pretese di Fratelli d’italia di avere almeno due esponenti nella squadra. E Rosso, campione di preferenze — con 4.806 voti — ma anche di cambi di casacca (dalla Dc a Forza Italia, da Futuro e Libertà a Direzione Italia, fino all’ultimo), è uno dei due nomi su cui i vertici di Fdi puntano.
«Io avrei voluto una giunta di gente tutta nuova, senza troppe esperienze politiche pregresse e al riparo dai retaggi della vecchia politica. Fratelli d’italia l’ha pensata in un altro modo», riconosce il governatore azzurro. Per poi aggiungere quella che, tolta ogni attestazione garantista di circostanza, suona già come una sentenza: «Se avessi avuto anche solo il minimo sospetto, non solo non l’avrei nominato assessore ma non ci avrei preso nemmeno un caffè». Invece l’ex democristiano, cinque volte parlamentare e due sottosegretario di governo, che nel 2001 si ritrovò a un passo dall’elezione a sindaco di Torino, entra nella giunta di centrodestra. Per lui, che in un primo tempo sembrava dovesse assumere il pesante incarico di assessore alla cultura, alla fine il presidente Cirio ritaglia con uno stratagemma una casella ad hoc, un assessorato minore ricavato dall’accorpamento di scampoli di deleghe: rapporti con il Consiglio regionale, delegificazione, affari legali, emigrazione e diritti civili. Per il governatore (e per la Lega) la questione si era chiusa così. Salvo scoprire, ieri, che quell’argine alzato attorno a Rosso non sarebbe bastato a fermare la piena. Ora Cirio ha in mente soltanto una cosa: lavare l’onta, fare in modo che la piena non lo travolga. «La mia priorità è mettere in sicurezza — dice — l’immagine del Piemonte e salvaguardare la dignità delle istituzioni». E annuncia: «La Regione valuterà se costituirsi parte civile».
E così, per uno strano caso del destino, quelli che ne avevano agevolato l’ascesa in piazza Castello (garante dell’operazione il coordinatore piemontese di Fdi ed ex forzista, come Rosso, Fabrizio Comba) sono stati i primi a scaricare l’ex assessore arrestato. «Mi viene il voltastomaco. Fdi si costituirà parte civile nell’eventuale processo a suo carico — è stata la dura reazione della leader Meloni —. Rosso era entrato un anno fa, ma ora è ufficialmente fuori». E dire che la vecchia guardia del partito si era opposta al suo ingresso: «E avevamo ragione». In una fase di allargamento dei consensi, imbarcare Rosso (e con lui decine di ex azzurri di ascendenza Dc) era fondamentale. Tant’è che i più scettici tra i «fratelli» torinesi, tra cui Maurizio Marrone e Augusta Montaruli, si sentirono promettere: «È la sua ultima chance. Non lo candideremo mai a Roma, tranquilli».
Ora che, prima che alla Camera, Rosso è finito in carcere (e c’è poco da stare tranquilli), già si preannuncia la resa dei conti in Fdi, ma anche nei rapporti con la Lega. Per ora è difficile pensare che il posto rimasto vuoto con le dimissioni arrivate subito dopo l’arresto («Ero pronto a revocarlo», assicura Cirio) venga subito riassegnato. «Non ne abbiamo parlato», si schermisce il governatore, che nel frattempo ha assunto l’interim. Di certo, se non a un leghista — c’è chi fa il nome di Riccardo Lanzo —, difficilmente quell’assessorato, ribattezzato dai detrattori «alle varie ed eventuali», tornerà nelle mani di un «fratello d’italia». Più facile che venga spacchettato. E soppresso.