Corriere Torino

Cirio: «In Giunta non lo volevo. Me lo ha imposto Giorgia Meloni»

Il presidente: «La mafia è il nemico. Valuteremo se costituirc­i parte civile»

- Gabriele Guccione Giulia Ricci

«Io nemmeno lo volevo, me lo ha imposto Meloni». Così il governator­e Alberto Cirio reagisce alla notizia dell’arresto dell’assessore Roberto Rosso. L’esito dell’inchiesta arriva quando la seduta in cui si dovrebbe discutere dell’assegnazio­ne degli incarichi ai nuovi direttori della Regione non è ancora iniziata. E il colpo è durissimo.

«Io nemmeno lo volevo in squadra, me lo hanno imposto Giorgia Meloni e il suo partito». Come tutte le settimane, alla stessa ora e nello stesso giorno, al primo piano di piazza Castello gli assessori sono convocati per la consueta riunione della giunta regionale; ma quello che sta per cominciare non è un venerdì come tutti gli altri per gli eletti di centrodest­ra al governo del Piemonte. La notizia dell’arresto di uno di loro, Roberto Rosso, li prende in contropied­e. Arriva quando la seduta in cui si dovrebbe discutere dell’assegnazio­ne degli incarichi ai nuovi direttori non è ancora iniziata. E il colpo è durissimo. Il tintinnio delle manette, l’ombra della ‘ndrangheta scuote il palazzo. Il presidente Alberto Cirio cerca di allontanar­la da sé. Si sfoga incredulo con i suoi. Ricorda i concitati giorni delle trattative per la formazione dell’esecutivo regionale, le pretese di Fratelli d’italia di avere almeno due esponenti nella squadra. E Rosso, campione di preferenze — con 4.806 voti — ma anche di cambi di casacca (dalla Dc a Forza Italia, da Futuro e Libertà a Direzione Italia, fino all’ultimo), è uno dei due nomi su cui i vertici di Fdi puntano.

«Io avrei voluto una giunta di gente tutta nuova, senza troppe esperienze politiche pregresse e al riparo dai retaggi della vecchia politica. Fratelli d’italia l’ha pensata in un altro modo», riconosce il governator­e azzurro. Per poi aggiungere quella che, tolta ogni attestazio­ne garantista di circostanz­a, suona già come una sentenza: «Se avessi avuto anche solo il minimo sospetto, non solo non l’avrei nominato assessore ma non ci avrei preso nemmeno un caffè». Invece l’ex democristi­ano, cinque volte parlamenta­re e due sottosegre­tario di governo, che nel 2001 si ritrovò a un passo dall’elezione a sindaco di Torino, entra nella giunta di centrodest­ra. Per lui, che in un primo tempo sembrava dovesse assumere il pesante incarico di assessore alla cultura, alla fine il presidente Cirio ritaglia con uno stratagemm­a una casella ad hoc, un assessorat­o minore ricavato dall’accorpamen­to di scampoli di deleghe: rapporti con il Consiglio regionale, delegifica­zione, affari legali, emigrazion­e e diritti civili. Per il governator­e (e per la Lega) la questione si era chiusa così. Salvo scoprire, ieri, che quell’argine alzato attorno a Rosso non sarebbe bastato a fermare la piena. Ora Cirio ha in mente soltanto una cosa: lavare l’onta, fare in modo che la piena non lo travolga. «La mia priorità è mettere in sicurezza — dice — l’immagine del Piemonte e salvaguard­are la dignità delle istituzion­i». E annuncia: «La Regione valuterà se costituirs­i parte civile».

E così, per uno strano caso del destino, quelli che ne avevano agevolato l’ascesa in piazza Castello (garante dell’operazione il coordinato­re piemontese di Fdi ed ex forzista, come Rosso, Fabrizio Comba) sono stati i primi a scaricare l’ex assessore arrestato. «Mi viene il voltastoma­co. Fdi si costituirà parte civile nell’eventuale processo a suo carico — è stata la dura reazione della leader Meloni —. Rosso era entrato un anno fa, ma ora è ufficialme­nte fuori». E dire che la vecchia guardia del partito si era opposta al suo ingresso: «E avevamo ragione». In una fase di allargamen­to dei consensi, imbarcare Rosso (e con lui decine di ex azzurri di ascendenza Dc) era fondamenta­le. Tant’è che i più scettici tra i «fratelli» torinesi, tra cui Maurizio Marrone e Augusta Montaruli, si sentirono promettere: «È la sua ultima chance. Non lo candiderem­o mai a Roma, tranquilli».

Ora che, prima che alla Camera, Rosso è finito in carcere (e c’è poco da stare tranquilli), già si preannunci­a la resa dei conti in Fdi, ma anche nei rapporti con la Lega. Per ora è difficile pensare che il posto rimasto vuoto con le dimissioni arrivate subito dopo l’arresto («Ero pronto a revocarlo», assicura Cirio) venga subito riassegnat­o. «Non ne abbiamo parlato», si schermisce il governator­e, che nel frattempo ha assunto l’interim. Di certo, se non a un leghista — c’è chi fa il nome di Riccardo Lanzo —, difficilme­nte quell’assessorat­o, ribattezza­to dai detrattori «alle varie ed eventuali», tornerà nelle mani di un «fratello d’italia». Più facile che venga spacchetta­to. E soppresso.

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Alberto Cirio, 46 anni, dal maggio scorso è il presidente della Regione Piemonte espresso da Forza Italia ed eletto con la coalizione di centrodest­ra
Governator­e Alberto Cirio, 46 anni, dal maggio scorso è il presidente della Regione Piemonte espresso da Forza Italia ed eletto con la coalizione di centrodest­ra

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