L’incredibile gaffe del Tribunale di Asti
Condanna un imputato a undici anni, senza prima sentire la sua difesa
Alla voce gaffe, il dizionario recita: «Azione o espressione inopportuna che genera imbarazzo». Di certo, è proprio l’imbarazzo che non è mancato nel momento in cui i giudici hanno augurato «Buon Natale» al pubblico ministero e agli avvocati, accingendosi a uscire dall’aula. Ma non sono state quelle parole di buon auspicio a far precipitare i presenti in uno stato di forte disagio. A creare sconcerto, piuttosto, è stato il fatto che il collegio avesse appena pronunciato una sentenza senza che vi fossero le condizioni per poterlo fare. Perché prima di poter esprimere un verdetto, è necessario dare la parola alla difesa. Questo prevede il codice di procedura penale. Ma in questo dibattimento, che ora vale carta straccia, all’avvocato che assiste l’imputato non è stata concessa la possibilità di pronunciare l’arringa. Una gaffe dei giudici che costringerà adesso a un nuovo processo.
Tribunale di Asti, 18 dicembre, ore 12. In calendario c’è un’udienza breve, quasi certamente l’ultima prima della sentenza. Sul banco degli imputati siedono marito e moglie. Lui è accusato di violenza sessuale nei confronti della figlia diciassettenne, lei di non aver denunciato gli abusi. Nell’udienza precedente, celebrata a metà novembre, hanno preso la parola il pubblico ministero, l’avvocato di parte civile e il legale che assiste la mamma della giovane vittima. C’è ancora un ultimo passaggio da compiere prima di poter considerare concluso il processo: l’arringa dell’avvocato che difende il padre della minorenne, principale imputato. Il difensore sa di dover parlare, ha già preparato il discorso da presentare al collegio. Alle 12 in punto, il suono del campanello annuncia l’ingresso in aula dei giudici. Senza neppure sedersi, i togati — tre — pronunciano il verdetto. Condannano la madre della ragazzina a una pena più lieve e infliggono 11 anni al papà. Undici. Poi augurano a tutti «Buon Natale» in attesa del deposito delle motivazioni. L’imbarazzo è palpabile. L’avvocato difensore eccepisce sommessamente che sarebbe toccato a lui parlare. E i giudici non possono fare altro che prendere atto della loro gaffe. Il verdetto ormai è pronunciato. E le motivazioni dovranno essere pubblicate. A quel punto sarà compito della Corte d’appello prendere atto di cosa è accaduto e rinviare gli atti al primo grado per una nuova pronuncia. «Non bastava la giustizia senza tempo — commenta la Camera penale del Piemonte —, con questo episodio si sperimenta anche la giustizia senza avvocato: manifestazione abnorme del clima che serpeggia negli ambienti giudiziari».