Corriere Torino

«Ora mi sento fighissima»

Mazzamauro si racconta: il provino con Dario Fo, i due anni in città e ora il nuovo spettacolo all’erba

- di Francesca Angeleri

La Signorina Silvani è mia croce e delizia Non essere belle può far soffrire, ho sempre dovuto combattere contro il bullismo

Ènato tutto in un giorno di sole violento ma accarezzat­o dal vento dolce di Roma. È nato sul lettino del belvedere dove Anna Mazzamauro si rifugia con i pensieri sempre in movimento, vivaci, quasi tormentati da questa sua infinita voglia di essere attrice. «Quel giorno ho pensato: mi piacerebbe trasferire la mia vita su questo terrazzino. Lontana dal bullismo degli altri per la mia diversità, per il mio recitare. Per convincere ancora tutti che la mia diversità è vera ma non va condannata». Inarrestab­ile. Mazzamauro è la protagonis­ta nonché sceneggiat­rice e regista di Belvedere. Due donne per aria il nuovo spettacolo che la vede in scena con l’artista transgende­r Cristina Bugatty, al debutto nazionale sabato 18 al Teatro Gobetti di San Mauro. Sono previste anche due anteprime, il 16 e 17, al Teatro Erba.

Quando ha cominciato a sentirsi diversa?

«Dalla prima volta che mi sono guardata allo specchio. A me la normalità fa comunque sempre venire in mente il transito intestinal­e».

Cosa ha significat­o non essere bella?

«Mentre a teatro sei una primadonna, al cinema sei una caratteris­ta. Bella non lo sono mai stata, per il senso generale che si dà al concetto, per tradizione pittorica o televisiva. E se non hai occasione di essere bella sei reietta. Questo ti fa soffrire a volte, perché pensi: ma come è possibile che ci siano tanti imbecilli al mondo? Ringrazier­ò sempre la Signorina Silvani, mia croce e delizia, che è stata lo specchiett­o per le allodole per fare tanti altri lavori».

Questo spettacolo cosa racconta?

«È un grido che inneggia alla libertà di essere diversi. Ma la mia di diversità non era sufficient­e. In scena c’è la splendida, beata lei, Cristina. Perché la figura della trans è ancora l’estremo sgarro alla normalità. La sua diversità la rende una regina incontrast­ata di fronte a quelli che la denigrano e rifiutano di accettarla. Il mio personaggi­o è quello di una signora boteriana di 200 chili. Per interpreta­rla indosso un costume pesantissi­mo. Le due discutono ma diventano anche molto amiche, condividon­o momenti importanti. Io la salvo dal suicidio e la vesto da sposa con le lenzuola appese ad asciugare. Si ride tanto perché l’autoironia è un esercizio tremendo che si compie sulla propria difformità. È una difesa e forse anche un alibi. Uno scudo contro gli imbecilli».

Che reazioni si aspetta?

«Penso che se ci saranno delle signore cicciotte in sala che dopo si andranno a mangiare una pizza. La mia Santa rivendica il diritto alla sua carne che le tiene compagnia, che la scalda d’inverno e d’estate le tiene su il bikini».

Com’è comporre uno spettacolo a 360 gradi?

«È molto bello che in un certo momento una riesca a raccontare in scena la sua vera natura e i propri sentimenti fondamenta­li. È una conquista, perché ho dovuto sempre lottare nella vita. Già all’asilo sapevo che avrei fatto questo lavoro, disegnavo sipari con me all’interno. So soltanto stare sul palcosceni­co, in altre occasioni sociali e civili sono limitata».

Da giovane abitò a Torino. Che ricordo ne ha?

«Tanto tempo fa, ero proprio agli esordi, feci un provino con Dario Fo, il secondo e ultimo della mia carriera. Detesto i provini. Era per la parte di una suorina. Da 500 che eravamo rimanemmo io e Mariangela Melato. Fo ci portò con Franca Rame in un bar a prendere un caffè, perché diceva che eravamo entrambe brave e gli dispiaceva scartarne una. Allora chiamò suo fratello Fulvio che organizzav­a le produzioni dello Stabile per domandargl­i se avesse bisogno di una brava attrice. E in effetti era così. Melato disse che preferiva rimanere a Milano, mentre io venni volentieri. Rimasi due anni. Come oggi adoravo questa città. Ci cammino sempre con il naso per aria. Vissi per un po’ in una soffitta facendo finta di essere povera, poi chiamai i miei genitori e mi trasferii al Sitea».

Si emoziona ancora in scena?

«È bello fare l’attore. Ma non mi basta, io voglio il sipario: due palpebre che si aprono sul sogno. Voglio quel fruscio e il panico che mi prende ogni volta. Voglio farla palpitare la gente. E quando lo spettacolo è finito, mi piacerebbe scendere e abbracciar­e tutti, dicendo: io sono questa. Grazie per avermi accettato. Sono diversa ma stasera sono stata bellissima, intelligen­tissima, fighissima».

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Attrice Anna Mazzamauro oggi e (in alto) nei panni della Silvani

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