A tavola da Gina Senza menu
Nella storica taverna della Valchiusella si arriva, si prende posto e si aspetta
Al telefono non risponde nessuno. Sulla porta campeggia una scritta in ferro di cavallo: «ciau». Ad aprire la porta è un’anziana signora, sorridente. È Rina Giono, detta Gina. «Ha mica provato a chiamare?», chiede.
Al telefono non risponde nessuno. Salgo in auto e dopo un’ora di tragitto da Torino arrivo in Valchiusella, a Vico Canavese. Appena sotto Cimabossola seguo il cartello per «la tavernetta» e trecento metri dopo mi trovo di fronte una casetta che delimita la fine della strada. Sulla porta campeggia una scritta in ferro di cavallo: «ciau». Busso. Ad aprire la porta è un’anziana signora, sorridente. È Rina Giono, detta Gina. «Ha mica provato a chiamare?», chiede. «Il telefono pubblico è rotto».
Niente cellulare, nessun sito internet o pagina Facebook. Aperta sette giorni su sette, la trattoria «Da Gina» possiede solo un vecchio telefono fisso. In Valle la conoscono tutti: è un posto storico della zona. E certamente caratteristico. Non ci sono tavoli, solo lunghi tavolacci come nelle feste di paese. Non esiste un menu. Si arriva, ci si siede. E si aspetta. Mai più di dieci minuti, a dire il vero. Perché, nonostante l’età inizi «a farsi sentire», a pochi mesi dal suo ottantesimo compleanno la padrona di casa non sta ferma un minuto. Cuoca e cameriera insieme, sfreccia dalla cucina alla sala con una velocità invidiabile.
Non è un posto per schizzinosi, questa trattoria. Ci si deve adattare: tovaglia di carta, coperti spaiati e realmente vintage. E un solo bagno, esterno. Eppure il posticino rimane nel cuore.
La cucina, semplice e genuina, è quella tipica piemontese. Le portate sono abbondanti e servite senza avarizia. E il conto — sette portate (con eventuali bis), vino (rigorosamente sfuso e in quantità), frutta, caffè e grappa — difficilmente supera i 14 euro a persona. Doggy bag inclusa. Roba d’altri tempi.
Rina serve a tutti le stesse cose: salame, lardo, peperoni, formaggio fresco, cotechino, patate, polenta concia e semplice, pollo ruspante, spezzatino e formaggio. Niente pasta, perché «non me la chiedono mai — precisa —. Ma l’acqua bollente la tengo sempre pronta».
La sua è una brigata di sole donne, due. Rina, che cucina e serve ai tavoli. E una collaboratrice addetta alla finitura delle pietanze e lavapiatti.
«La farina per la polenta la prendo da Sabolo a Banchette, il vino dai fratelli Calvo a Volpiano, la carne e i salumi dalla macelleria di Drusacco — racconta la signora Giono —. Formaggio e burro sono dei miei cugini margari della Valle».
Questa trattoria di Vico, una volta era una stalla. «Fu la zia Gina nel 1976 a trasformarla in casa e in ristorante iniziando a servire vino, un tozzo di pane e del salame — continua la cuoca —. Avevo quattro anni quando sono rimasta orfana e lei mi ha fatto da madre e mi ha insegnato tutto quello che so».
Luogo d’altri tempi
Tradizione piemontese, portate abbondanti e un conto che non supera i 14 euro
Mentre parla della sua vita Rina sembra commossa. «Non solo a cucinare — prosegue —, la zia mi ha insegnato a rispettare la gente e a fare economia. C’era la Guerra e non c’era tanta scelta».
Sono quasi le tre del pomeriggio, sto per finire il pranzo e aspetto che arrivi il caffè. Un gruppo di ventenni varca la porta del locale. Si siedono a fianco a me. «Hey, massimo alle cinque me ne voglio andare a casa giù ad Alice — sussurra la cuoca al gruppo di giovani — quando viene buio mi fa paura restare qui sola». I ragazzi si guardano e sorridono: «Dice sempre così — commentano —, ma se glielo si chiede per tempo fa un’eccezione e resta aperta anche la sera».
La tavernetta «Da Gina» è una vera antesignana del blasonato e modaiolo socialtable. Per provarla, bisogna arrivare in Valchiusella, prendere la strada che da Inverso porta a Cimabossola e seguire la deviazione indicata dal cartello.