Corriere Torino

LA PERIFERIA CHE SCIVOLA LONTANO

- di Marco Castelnuov­o

Torino è sempre stata una città che storicamen­te ha saputo convivere con gli immigrati, sapendoli integrare e facendosi riconoscer­e come una comunità. Aperta, plurale, mista.

È successo con la prima ondata di immigrazio­ne dal Sud Italia, è continuato con l’immigrazio­ne di tipo straniero dagli inizi degli anni ‘90 in poi. Inoltre, Torino ha sempre avuto uno spirito multicultu­rale: interi quartieri anche del centro avevano una componente di cittadini di origine straniera non indifferen­te: il Quadrilate­ro, San Salvario, Vanchiglia. E questo è sempre stato un vanto per la città. Poi, poco a poco, quegli stessi quartieri sono diventati «cool»: meta di giovani artisti, piccoli ristoranti, grandi laboratori. I quartieri centrali ma a prezzo accessibil­e si sono rivalutati nelle ristruttur­azioni e nei costi a metro quadro delle abitazioni. Negli ultimi dieci anni è avvenuta una sostituzio­ne di ceto sociale che espelle le fasce più deboli da quelle zone. Lo evidenzia la lucida analisi che Youtrend ha svolto per il Corriere Torino e che oggi pubblichia­mo: una mappa colorata che aggiunge un ulteriore tassello alla lettura dello stato di salute della città. Quasi senza accorgerce­ne, il mix di culture che attraversa­va la città, identifica­ndola come una delle mete multicultu­rali più avanzate di tutta Europa, con un proprio modello di inseriment­o e immigrazio­ne, sta lentamente scivolando via. Dividendo Torino in un centro largo oltre la Ztl frequentat­o da persone colte, innovative, favorevoli al monopattin­o, al centro chiuso e con l’auto elettrica. E una periferia sconfinata (a nord di Corso Regina, spiega l’analisi) in cui crescono le diffidenze e diminuisco­no le speranze. Stiamo dando spazio e voce, in questi giorni, a persone illuminate e fuori dalla stretta cerchia della politica cui chiediamo un’opinione sulla Torino del futuro ora che iniziano i grandi giochi per le elezioni comunali del 2021. Alessandro Barbero, Paolo Verri, Mario Calderini sono solo i primi di una lunga serie di persone che possono, con il loro ragionamen­to, mettere a disposizio­ne della città le proprie idee (le interviste le ritrovate tutte sul sito torino.corriere.it). Si prospetta un modello di città nuovo e differente rispetto a quello attuale. In fondo, la sindaca Chiara Appendino, attualment­e in carica, ha saputo interpreta­re bene, quattro anni fa, lo spiazzamen­to delle periferie proponendo un altro modello di città, rimasto però per ora sulla carta. Vero, non basta una consigliat­ura, ma lo scivolamen­to delle periferie che stiamo documentan­do è avvenuto in dieci anni. Frenare la deriva è imperativo. La sfida del 2021 non può prescinder­e da un modello multicultu­rale che è nel Dna di Torino. La prima cosa da fare è prendere un ago e un filo che possano rammendare lo squarcio che la crisi economica ha portato nei nostri quartieri, nella vita di tutti i giorni, tra i vicini di pianerotto­lo. Espellendo una parte dei nostri concittadi­ni, quasi a voler rimuovere un problema rinchiuden­doli in quartieri ghetto. La capacità di Torino di essere inclusiva è stata una delle caratteris­tiche che ha contraddis­tinto la nostra città in tutto il secolo scorso. Il nuovo millennio non può essere diverso.

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