«Tutela Unesco per i caffè storici»
Progetto di Università e associazione dei locali d’epoca per ottenere il riconoscimento
Il caffè espresso italiano, un’eccellenza riconosciuta in tutto il mondo, si candida a diventare Patrimonio immateriale dell’umanità dell’unesco. Nella sola città di Torino ci sono attualmente 3.487 bar, diffusi in maniera capillare su tutto il territorio. In città ci sono bar moderni e caffetterie antiche di cui parlano le guide turistiche. Torino può vantare ben dieci caffè storici che hanno deciso di riunirsi in un’associazione, nata con l’intento di valorizzare questo patrimonio storico e culturale della città. Racconta Edoardo Cavagnino, vicepresidente dell’associazione e titolare del caffè Pepino: «Torino ha una grande tradizione di caffè storici. Abbiamo pensato che i caffè storici andavano tutelati. Ora ci piacerebbe candidare, oltre al caffè espresso, anche i caffè storici torinesi come Patrimonio dell’unesco. Abbiamo quindi dato vita ad una collaborazione con l’università di Torino».
Il caffè espresso italiano, un’eccellenza riconosciuta in tutto il mondo, si candida a diventare Patrimonio immateriale dell’umanità dell’unesco. Alla base della candidatura c’è l’idea di tutelare e promuovere il vero espresso italiano, quello preparato a regola d’arte (con la cremina per intendersi). Non tutti sanno che la gloriosa storia di quello che oggi è unanimemente riconosciuto come il «caffè all’italiana» parte da Torino, dove nel 1884 viene inventata la prima macchina per il caffè espresso. Angelo Moriondo, per soddisfare i tempi rapidi della clientela del suo Caffè Ligure di Piazza Carlo Felice 84, decide di mettere a punto una macchina a vapore per il caffè espresso istantaneo. Il nuovo congegno viene presentato per la prima volta in quell’anno all’esposizione Generale, ma sarà realizzato solo in pochi esemplari utilizzati nei locali che Moriondo gestiva. Il caffè non è solo una bevanda indispensabile per scandire le diverse fasi della giornata, consumare un espresso al bar è un vero e proprio rito sociale. Nella sola città di Torino ci sono attualmente 3.487 bar, diffusi in maniera capillare su tutto il territorio. Il bar di quartiere oltre ad essere un esercizio commerciale, diviene spesso un importante centro di aggregazione per gli abitanti. Sorseggiando un caffè in compagnia ci si scambia informazioni di lavoro, ci si confida tra amanti, si tessono relazioni con amici e parenti. È una pratica talmente comune che l’espressione «andiamo a prendere un caffè» fa parte del nostro linguaggio comune quotidiano. Sorseggiando l’espresso si possono conoscere anche nuove persone: non è raro infatti che davanti al bancone ci si impegni in conversazioni spontanee con sconosciuti sugli argomenti più disparati. E la figura del barista può trasformarsi, all’occorrenza, in quella di un confessore a cui affidare i problemi della propria vita. In città ci sono bar moderni e caffetterie antiche di cui parlano le guide turistiche. Torino può vantare ben dieci caffè storici che hanno deciso di riunirsi in un’associazione, nata con l’intento di valorizzare questo patrimonio storico e culturale della città. Racconta Edoardo Cavagnino, vicepresidente dell’associazione e titolare del caffè Pepino: «Torino, rispetto ad altre città italiane ha una grande tradizione di caffè storici, che sono certamente un punto di attrazione per i turisti. Considerando però la crisi del commercio in centro città, abbiamo pensato che i caffè storici andavano tutelati, per evitare chiusure come è avvenuto con il Caval d’ Brons». C’è infatti un forte rischio di omologazione, l’arrivo dei grandi marchi internazionali rendono le vie dei centri storici molto simili tra di loro. Aggiunge Cavagnino: «Ci siamo detti: questo è un patrimonio che va salvaguardato non solo nel nostro interesse ma anche nell’interesse della città. Così abbiamo deciso di costituirci in associazione perché ci piacerebbe candidare, oltre al caffè espresso, anche i caffè storici torinesi come Patrimonio dell’unesco. Abbiamo quindi dato vita ad una collaborazione con l’università di Torino per avviare una ricerca antropologica sui caffè storici, che possa servire da supporto per la futura candidatura». Nel frattempo, come primo passo, l’associazione ha appena messo in rete il loro nuovo sito www.caffesalottisabaudi.com nel quale si possono leggere storie e curiosità sui caffè storici della città. Si scopre così che il Cafè Elena di Piazza Vittorio era un luogo amato e frequentato da Cesare Pavese: tra specchi e dipinti, il grande romanziere era solito sedersi ai tavoli dell’elegante locale per dedicarsi alla lettura e alla scrittura. Guido Gozzano amava invece scrivere le sue poesie seduto a un tavolino di Baratti & Milano in Piazza Castello, il caffè ottocentesco punto d’incontro del beau-monde torinese. Echi di questa frequentazione si possono ritrovare nei versi che Gozzano dedica alle signore dei caffè: «Io sono innamorato di tutte le signore, che mangiano le paste nelle confetterie». Rimanendo in tema letterario anche Fruttero e Lucentini, appassionati frequentatori di questo locale, decidono di ambientare qui la prima scena del loro celebre giallo torinese «La donna della domenica». Umberto Eco, invece, fa una lunga e dettagliata descrizione del Caffè Al Bicerin (un altro pezzo di storia torinese) nel suo romanzo «Il Cimitero di Praga», utilizzando questa location come ambientazione di una parte del suo libro. Ma non è solo la letteratura a rendere speciali questi caffè, in questi locali si è fatta anche la storia. Il Caffè Fiorio di via Po da fine Settecento è stato un salotto aristocratico e un’aula di dibattito politico. Si narra che Carlo Alberto chiedesse ogni mattina a chi gli porgeva la relazione sugli affari di stato: «Che cosa si dice al Fiorio?». Nel Caffè San Carlo è stata invece progettata la mitica spedizione artica «Stella Polare» del 1899 condotta da Luigi Amedeo di Savoia, Duca degli Abruzzi. Infine, lo sport: il 1° novembre 1897 alcuni studenti del liceo Massimo D’azeglio, seduti su una panchina di fronte al caffè Platti di Corso Vittorio Emanuele II, decisero di fondare una squadra di calcio che verrà poi chiamata: «Juventus football club».