Augusta Vampyrorum
Una guida alla Torino «rosso sangue» nei giorni in cui Dracula impazza in tv. Lo studioso Pezzini: «Tra libri, teatro e film, siamo arrivati ben prima di Bram Stoker»
«Un Dracula Tour a Torino non possiamo permettercelo, ma in quanto a vampiri non scherziamo affatto. Non a caso mi piace chiamarla Augusta Vampyrorum». Franco Pezzini è uno che se ne intende. Mentre il successo della serie Dracula targata Bbc/netflix certifica l’indistruttibilità del principe dei vampiri, ancora in gran forma a oltre 120 anni dalla nascita letteraria e dopo aver ricevuto chissà quanti paletti di frassino nel cuore, il saggista torinese partecipa in prima linea al suo ritorno in libreria. A lui Mondadori ha affidato la curatela di una nuova e lussuosa edizione del romanzo originale di Bram Stoker.
Quasi uno snack rosso sangue, se confrontato con le mille pagine di Tutto Dracula, mammuth in due volumi in cui Pezzini analizza il testo di Stoker nel minimo dettaglio.
«D’altronde, stiamo parlando di una opera-mondo», racconta lo studioso. «Dentro c’è tutto: economia, tecnologia, scienze sociali, religione. Forse non è un capolavoro, di sicuro è un calderone meraviglioso». Ad Augusta Vampyrorum, però, il flirt con i vampiri è iniziato ben prima che lo scrittore irlandese prendesse uno sconosciuto signorotto valacco del Quattrocento e lo trasformasse in un mito. «Il romanzo di Stoker è stato pubblicato nel 1897, ma sembra che già nel 1801 a Torino sia stata rappresentata l’opera Il vampiro di De Gasparini», dice Pezzini. E nel ventesimo secolo, per l’immaginario pop, la città diventa un vero e proprio covo di succhiasangue. «C’è un romanzo straordinario di Furio Jesi, L’ultima notte, in cui si immagina un grande scontro tra umani e vampiri. La battaglia finale avviene all’ombra della Torre Littoria, quartier generale dei vampiri. Al cinema spicca invece Hanno cambiato faccia di Corrado Farina
del 1971, con quel suo Giovanni Nosferatu, oscuro direttore di una azienda automobilistica e grande esperto dei media, interpretato da un indimenticabile Adolfo Celi. Ma ci sono anche il film Io sono un vampiro di Max Ferro, che va su e giù per il tempo, dalla Torino dell’assedio del 1706 a quella della movida, e il romanzo L’ultima ceretta di Anna Berra, dove una setta pratica il vampirismo in zona Crocetta».
Ma perché la città esercita un appeal così forte nei confronti dei vampiri? Merito della sua architettura, delle sue atmosfere, della qualità del suo sangue? «In quanto ad atmosfere, in fondo Torino non è così distante dalle grandi città dell’europa dell’est, l’area che ha fatto da culla alle epidemie e alle leggende dei vampiri», risponde Pezzini. «Molti anni fa, quando passeggiavi nel centro storico ancora cadente, certe notti ti sembrava di stare a Praga o Bratislava. Le montagne possono benissimo essere i nostri Carpazi e Dario Argento ha utilizzato molte location piemontesi per il suo Dracula 3D. Ma credo che la ragione sia un’altra. Il vampiro è una figura “di passaggio”, sempre in movimento, che salda in sé dimensioni opposte: bestiale ma umano, orripilante ma seduttivo. E Torino è una città di passaggio e di contrasto, vertice di triangoli sia industriali sia magici, luogo da cui sembra che sia transitato chiunque: Nostradamus, Paracelso, Cagliostro».
In alcuni casi forse si tratta di invenzioni nate assieme al mito della Torino magica, ammette Pezzini, ma questo ruolo è davvero insito nella natura della città. E non si sposa bene solo con l’attitudine nomade dei vampiri, ma potrebbe aver messo uno zampino persino nella nascita stessa del romanzo gotico. «Il genere viene inaugurato nel 1764 da Il castello di Otranto di Horace Walpole. Nelle sue lettere, Walpole racconta di aver visitato Torino durante un Grand tour e di aver assistito a una recita sacra che molto probabilmente ha ispirato le atmosfere del libro».