I monopattini e l’odio sociale dei vandali
Ero nel casertano in un viaggio di sopralluoghi per un documentario. Accanto a me sedeva Antonio Pascale, scrittore che ben conosce le contraddizioni della sua terra. Osservavamo un tipico scenario meridionale fatto di degrado, abbandono, rifiuti scaricati per strada. Pascale disse: «Vedi, qui ciò che è pubblico non è di nessuno. Quindi, nessuno sente il dovere di curarsene. Al Nord è diverso: ciò che è pubblico è di tutti, ed è dovere e orgoglio collettivo mantenere al meglio l’immagine del luogo dove si vive». Credo che la teoria di Antonio Pascale sia stata valida anche per Torino; almeno finché sono arrivate prima le biciclette free flow e ora l’invasione dei monopattini… Per osservazione sul campo, la fenomenologia della «nuova mobilità» si compone di due tempi. Il primo è caratterizzato da una sorta di anarchia in cui «novità» e «libertà» tendono a diventare sinonimi. Parafrasando Mcluhan, il mezzo — inteso come veicolo — diventa il messaggio. L’idea inconsapevole dell’utente è che con la bici o il monopattino si può fare quello che si vuole: transitare sui marciapiedi, andare contromano, ignorare il codice della strada. Tanto che per i monopattini le istituzioni locali, prevedendo il caos, hanno ordinato un periodo di «sperimentazione» (che ha prodotto come effetto collaterale la straordinaria sceneggiata delle dimissioni annunciate e poi ritirate in lacrime da parte del capo della Polizia Locale). Le norme, dunque, esistono. Che siano fatte rispettare è un altro discorso, come può constatare chiunque si faccia un giro in città; d’altra
parte non va meglio nel caso delle disposizioni antismog. Il secondo tempo della «nuova mobilità» trasferisce il senso di anarchia dall’utenza a un altro attore sociale: il vandalo. Tutti ci ricordiamo le biciclette arancioni nel Po; e non sta andando meglio con i monopattini. Le tre principali compagnie di noleggio free-flow lamentano un centinaio di mezzi danneggiati nei soli primi venti giorni di circolazione libera. E in effetti, certi scorci di Torino cominciano ad assomigliare a quelli di una città del Sud.
Il fatto è che la modernità turbodigitale mette in crisi i tradizionali modelli culturali. Qui non si tratta più del rapporto tra pubblico e privato, di Nord o di Sud. Di chi sono davvero i monopattini e le biciclette? Da una parte sono a disposizione del pubblico, ma dall’altra restano proprietà privata di chi li noleggia. Il che genera una reazione impensabile sin dai tempi di «Ladri di biciclette», quando i velocipedi venivano ma non danneggiati per sfregio. Le bici e i monopattini vandalizzati sono il sintomo di qualcosa di nuovo: l’odio, da parte del vandalo, verso una dimensione urbana che non è più né pubblica né privata, in totale sintonia con lo spirito dei tempi. Chi vuole danneggiare davvero il vandalo che prende a mazzate un monopattino? L’azienda che lo possiede, il cittadino che lo utilizza, l’istituzione che ne favorisce l’uso, il senso generale delle relazioni civili? Probabilmente tutto questo insieme. Il monopattino è il simbolo più recente di un’epoca che sta progredendo in retromarcia.