«Con Dario Argento al Cimitero ho scoperto una Torino da cinema»
Il mago dei mostri Stivaletti porta in città il suo «Rabbia Furiosa»
Altro che horror. La vicenda del «Canaro» che sconvolse le cronache sul finire degli anni 80 conteneva dettagli così raccapriccianti da superare ogni più macabra fantasia. Pietro De Negri, tosacani della Magliana, stanco delle vessazioni inflitte dal suo spacciatore Giancarlo Ricci, decise di ribellarsi; così, all’ennesima umiliazione, il mite De Negri chiuse il suo aguzzino in una gabbia di cani e lo torturò a sangue, fino a ucciderlo.
A raccontarla al cinema, proprio nelle settimane in cui usciva Dogman di Matteo Garrone, fu Sergio Stivaletti con Rabbia Furiosa. E sarà proprio lui a presentare al pubblico torinese la sua versione della storia del «Canaro», mercoledì alle 20.30 al Cinema Massimo, in collaborazione con Torino d’argento Tour Locations. «Sono felice di presentarlo nella città di elezione di Dario Argento. Qui ho lavorato in Nonhosonno,
girato tra Cimitero Monumentale, Carignano e Gran Madre; poi in Ti piace Hitchcock? e La Terza Madre.
Ma è tutta Torino a essere permeata da cultura cinematografica cui mi sento affine. Penso a Pupi Oggiano, regista di film horror che come altri
Trucco ed effetti speciali
Qui sopra, un’immagine di Sergio Stivaletti, regista e «creatore di mostri»; a sinistra, dall’alto, alcuni dei film più famosi ai quali ha collaborato: la serie «Fantaghirò» di Lamberto Bava, «Nirvana» di Gabriele Salvatores; «Dellamorte Dellamore» di Michele Soavi; «La terza madre» di Dario Argento fan sono diventati miei amici».
Una città che ricorda con un unico rimpianto: «Qui ho trascorso settimane per i sopralluoghi de La Maschera di cera, ho visitato siti affascinanti come il Museo di Antropologia e mi ricordo centinaia di vasi di formalina in magnifici scaffali in legno. Ma più passavano i giorni e più il budget si riduceva. Alla fine ho dovuto rinunciare, e parte di quelle scene furono girate a casa mia».
In Rabbia furiosa si respira aria di vero cinema, seppur raramente programmato nelle sale. «Quasi come una mafia — si sfoga il regista — ecco come giudico la distribuzione in Italia. Nessuno rischia più niente e alla fine sei tu a dover pagare per far vedere il tuo film». Poi svela le dinamiche che hanno portato i due titoli a uscire quasi contemporaneamente. «Noi abbiamo iniziato a girare per primi, ma non avevamo la stessa forza produttiva in fase di montaggio che ci ha attardati per parecchi mesi; ma a questo progetto pensavo dal 1997 quando mi sottoposero uno dei Fattacci descritti da Vincenzo Cerami che aveva raccolto quattro degli omicidi più efferati della storia italiana. Poi non se ne fece più nulla per vent’anni e nel frattempo, per uno strano intreccio del destino, mi trovai a curare gli effetti speciali de L’imbalsamatore di Garrone, contenuto nello stesso libro».
Noto per le sue creazioni di mostri e corpi sfigurati per i più importanti registi italiani, da Rabbia furiosa in versione Stivaletti ci si poteva aspettare un grandguignol grondante sangue; si tratta al contrario di un’opera equilibrata e rispettosa dei personaggi. «Gli ha lavato perfino il cervello: era la frase ricorrente nei bar di Roma quando si descrivevano le torture di quel caso. Per questo ero consapevole che tutti si sarebbero aspettati il sangue e vi assicuro che avrei potuto soddisfare le aspettative. Ma io volevo attori veri, una storia onesta e la descrizione di un uomo vessato che si ribella al male. Non parlo di giustizialismo ma alludo a quel sentimento che attraversa Borghese piccolo piccolo
o Cane di paglia. Insomma, oggi il vero horror non sta nel sangue ma in provincia e nelle periferie». Un orrore ammantato di squallore e soprusi; di scenografie pasoliniane e culturalmente azzerate che spiegano le origini più profonde di una mostruosità così efferata. Ed è qui che la proverbiale «ira dei mansueti» trova il giusto concime per montare di nascosto, fino a esplodere in un grottesco e tragico finale, mai così spaventoso quanto la quotidianità di un reietto.