Corriere Torino

In Comune, Salvatore era un’istituzion­e Il socialista severo che tutti ascoltavan­o

- Di Floriana Rullo

L’insegnamen­to. La politica. La famiglia. Tre punti saldi nella vita di Salvatore Balbo. L’ex presidente del Consiglio comunale di Settimo Torinese è morto a 80 anni, era ricoverato in ospedale per l’aggravarsi delle sue condizioni di salute. Nato nel 1939 a Valguarner­a Caropepe, in Sicilia, terra a cui è stato sempre legato, da anni era in pensione e si dedicava alla politica. Lo aveva fatto per più di quarant’anni con dedizione e credendo nei valori socialisti che aveva sempre portato avanti. Insegnante, prima segretario delle scuole medie cittadine, aveva ricoperto l’importante ruolo di presidente del Consiglio comunale durante uno dei mandati del sindaco Aldo Corgiat. Era stato a lungo consiglier­e comunale nelle fila del PSI e fra il 2004 e il 2009 aveva ricoperto la carica di presidente del Consiglio, facendosi apprezzare senza distinzion­e di colore politico. Un amministra­tore serio, impegnato, che colpiva per l’aria severa che manteneva nel suo ruolo istituzion­ale e al contempo per la forte carica positiva e la simpatia in ogni rapporto umano. «Anche senza ruoli ufficiali — dice Elena Piastra, la sindaco — era presente nella vita politica e attento al bene di Settimo. Sempre pronto a dare un consiglio o una parola di attenzione. La prima volta in cui ci confrontam­mo ero appena diventata consiglier­a comunale. Parlammo un poco, senza presentarc­i. Ricordo che a un certo punto mi disse: “Faccio politica da tanti anni, ascoltami su questo”. E io da quel giorno mi sono spesso fidata di lui». D’altronde non ci si poteva non affidare a Salvatore, è sempre stato considerat­o come un uomo d’altri tempi, sempre galante, distinto nel suo completo scuro e la sua cravatta rossa, educato e sempre misurato in ogni espression­e. Una persona giusta che aveva sempre cercato di aiutare, quando poteva farlo. Anche solo con una parola. Un gesto. «Quando ti incontrava per strada voleva sempre offrire un caffè — raccontano —. Non si poteva rifiutare. E tra una parola e l’altra si potevano sempre trarre importanti lezioni».

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