Corriere Torino

«Il mio Pansa, giornalist­a con la passione della verità»

Pubblichia­mo la lettera della vedova di Giampaolo Pansa, inviata al Centro Pannunzio in occasione dell’incontro in memoria del grande giornalist­a

- Di Adele Grisendi Pansa

Con gratitudin­e ho accolto la lettera del professor Pier Franco Quaglieni che annunciava il ricordo pubblico di mio marito Giampaolo Pansa, l’uomo che amo infinitame­nte dopo trent’anni di vita insieme. Rammento bene la sua soddisfazi­one per l’onore che gli avete riservato nel 2006 assegnando­gli il premio Pannunzio. Se fossi presente a Torino, vi direi che (...)

Giampaolo Pansa è un giornalist­a onesto e con la passione della verità. Un uomo libero che mai ha rinunciato, neppure nell’ultimo periodo, a indossare il suo binocolo per osservare da vicino i volti, i vizi, gli errori e le miserie della politica italiana. Durante tutta la sua intensa vita profession­ale ha indagato con il binocolo anche la storia d’italia, una passione intellettu­ale mai venuta meno fin dai tempi della laurea ottenuta a Torino.

«Sono un rompiscato­le», lo dichiara lui stesso nel titolo della propria

biografia e lo è come giornalist­a e come scrivente (così ama prendersi in giro) dei mali italiani, compresi quelli della sua categoria alla quale ha dedicato almeno quattro libri. Tutti scomodi, come scomodi sono soprattutt­o i libri degli ultimi vent’anni su fascismo e antifascis­mo. Ossia quelli sulla guerra civile e sulle vendette che ne sono seguite.

Lui, un bambino della guerra, il primo a fare con Carlo Galante Garrone una tesi sulla guerra partigiana, quella tra Genova e il Po. Lui onorato dal presidente Ciampi e nominato Grande ufficiale della Repubblica per i suoi scritti sulla Resistenza, la sua patria morale. Lui, ahimè, odiato e avversato senza pudore persino ora che non può rispondere da par suo. Pietre dello scandalo i suoi libri cosiddetti revisionis­ti, Il sangue dei vinti e quelli venuti dopo.

Io pretendo rispetto per l’onestà personale e intellettu­ale e profession­ale di Giampaolo. Non ha mai creduto nella conciliazi­one nazionale di

origine politica. Ha sempre ritenuto che la vera pacificazi­one passi invece dal non negare la sofferenza di chi la guerra l’ha persa e dei familiari di chi stava dalla parte che lui ha sempre considerat­o sbagliata: i fascisti. È la pietà tra italiani che può sanare il male profondo che ci divide ancora oggi.

È convinto che l’esistenza di differenti valutazion­i e interpreta­zioni sulle vicende storiche delle nazioni sia la condizione che conduce alla verità. Dissodando senza preclusion­i terreni non percorsi o negati prima, i veli e le divisioni si attenuano. E nella chiarezza infine cadono. A beneficiar­ne non è soltanto la storia, ma la vita contempora­nea di una comunità nazionale. A patto però che, nel confronto, ci sia libertà assoluta dei protagonis­ti e l’assenza di preclusion­i o di incrostazi­oni ideologich­e di parte. Un male che lui non cessa mai di denunciare. Lo spirito con il quale Giampaolo si è avvicinato al mondo dei vinti, fino

a farne i protagonis­ti dei suoi libri degli ultimi vent’anni, è stata la convinzion­e che all’inizio del Duemila fosse arrivato il tempo della ragionevol­ezza di chiudere l’antica stagione di odio e di vendette fratricide. Insistendo sugli errori e sulle nefandezze commesse anche da una parte dei vincitori, vuole riconoscer­e il dolore che i vinti hanno vissuto circondati dal silenzio. Non è andata così ed è stata forse l’ultima occasione.

Ama definirsi «storico della domenica», attribuend­osi la qualifica di dilettante. Io che l’ho visto al lavoro e accompagna­to per tanti anni, non posso considerar­lo tale. È un instancabi­le cercatore di carte, di testimonia­nze orali, di fascicoli, di foto, di pubblicazi­oni locali, di manifesti, di prove a sostegno e contrarie alle sue tesi. Un propositor­e di domande e di interrogat­ivi continui, un lettore attento di tutto, specie di chi la pensa diversamen­te da lui. Insomma, applica alla sua ricerca storica il metodo e la curiosità che lo hanno reso grande giornalist­a e cronista stupendo. Oltre che pittoresco nei suoi ritratti non di rado impietosi. Condivido come lo ha presentato Antonio Polito sul retro di copertina del Rompiscato­le in edicola con il Corriere della Sera: «Pansa era un magnifico esempio di giornalist­a schierato. La polemica più aspra e anche personale era il suo attrezzo del mestiere. Però era schierato solo con le sue idee e il suo modo di vedere le cose. Prendeva parte, ma la sua. Non era al servizio (intellettu­ale) di nessuno. Che lezioni ci ha dato!».

In conclusion­e, vi assicuro che alle mie parole non fa velo l’amore per Giampaolo, uomo buono e generoso con tanti. E neppure fa velo l’immenso senso di perdita nel quale mi trovo ad arrancare e mi impedisce di parlare di lui al passato. Grazie di cuore.

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