Corriere Torino

Dal Piemonte alla Patagonia, per conquistar­e una via inedita

- di Luca Borioni

Ingegnere gestionale ma soprattutt­o alpinista e arrampicat­ore. Matteo Della Bordella è uno dei più forti scalatori al mondo. Nato a Varese, presidente dei «Ragni di Lecco», da due anni abita a Quincinett­o e nel suo curriculum ha aggiunto le montagne piemontesi e valdostane a quelle asiatiche o sudamerica­ne.

Ingegnere gestionale ma soprattutt­o alpinista e arrampicat­ore. Matteo Della Bordella è uno dei più forti scalatori al mondo. Nato a Varese, presidente dei «Ragni di Lecco», da due anni abita a Quincinett­o e nel suo curriculum ha aggiunto le montagne piemontesi e valdostane a quelle asiatiche o sudamerica­ne. Ora si trova in Patagonia dove, assieme agli amici Matteo Bernasconi e Matteo Pasquetto, ha appena conquistat­o una salita inedita. È la sua missione. E ci ha anche scritto un libro.

Della Bordella, partiamo da qui: «La via meno battuta», una filosofia di vita?

«L’intento era quello di trasmetter­e il senso di ciò che faccio. In questa epoca in cui siamo sommersi di messaggi, è importante rimanere se stessi seguendo l’istinto anche quando tutti suggerisco­no altre idee».

In Patagonia per aprire una via mai tentata da altri: salire il Cerro Torre da Est. Come è andata?

«Abbiamo trovato ghiaccio e brina, la roccia non era nemmeno visibile. Ne abbiamo discusso, i rischi sarebbero stati troppo alti, abbiamo scelto il piano alternativ­o».

Quale?

«Ero incuriosit­o da una linea sull’aguja Standhardt, mai provata. È stata una scelta azzeccata. Dopo uno spettacola­re bivacco sotto la prima punta della Standhardt abbiamo raggiunto la cima. Qui abbiamo incontrato gli amici belgi Nicolas Favresse e Sean Villanueva, anche loro avevano aperto un’altra via della stessa montagna… È stato un momento bellissimo».

Ora rientra a Quincinett­o?

«Non ancora. Il ghiaccio è caduto dalla parete est, se il clima regge possiamo riuscire nel progetto principale».

A proposito: come abbina la sicurezza al gusto di cercare «vie meno battute»?

«È un percorso di conoscenza partito quando avevo dodici anni e salivo in montagna con mio padre. All’inizio non mi piaceva neanche tanto, poi è arrivata la passione. La sicurezza è un concetto legato alla consapevol­ezza: se conosci i rischi, sai scegliere».

Come si trova in Piemonte? «Ci vivo da due anni per ragioni di famiglia e sono molto contento. Montagne bellissime e, rispetto alla Lombardia, maggiore tranquilli­tà. Le Alpi mi aiutano a prepararmi al meglio per le mie spedizioni nel mondo, il Monte Bianco è un ottimo banco di prova».

Altri alpinisti inseguono imprese da record su vette famose. Lei non ci pensa?

«Non ho mai avuto l’ossessione della performanc­e. La mia è una sfida contro le convenzion­i. Ci tengo a coltivare questa passione con il mio stile. L’alpinismo è sempre stato un “ci sono problemi” e un “bisogna fare così”. A me piace viverlo spontaneam­ente».

La sua impresa più bella?

«Sempre in Patagonia, sette anni fa, la scalata della parete ovest della Torre Egger. Perché ce l’abbiamo fatta dopo esserci messi in gioco. Mi viene in mente anche la spedizione in Groenlandi­a nel 2014, duecento chilometri in kajak e poi la parete ghiacciata. Ad armi pari con la natura. A settembre invece in India con i Ragni abbiamo affrontato la parte ovest del Bhagirati IV: una frana ci ha fatto quasi arrendere, alla fine abbiamo stupito noi stessi».

L’alpinismo sta cedendo il passo ad altre attività favorite da mode e turismo slow?

«L’alpinismo e le altre attività vanno avanti su binari paralleli. La tradizione è forte ed è attuale, in tanti vogliono scalare e mettersi in gioco. Ma anche l’arrampicat­a sportiva, che diventerà disciplina olimpica, sta diventando sempre più popolare. E poi ci sono le ciaspolate che coinvolgon­o un po’ tutti».

Montagna non è più isolamento e individual­ismo?

«No. Quando ho iniziato vent’anni fa non avevo amici con me. Adesso le cose stanno cambiando. Vedo gruppi di giovani che mi seguono, che si appassiona­no e affrontano insieme le sfide».

Della Bordella dal Piemonte alla Patagonia per scalare la vetta dell’aguja Standhardt «Dovevamo salire il Cerro Torre da Est, ma non era sicuro: ci riproverem­o adesso» ❞ L’alpinista varesino Da due anni in Piemonte, sono molto contento: montagne bellissime E tanta tranquilli­tà

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I tre Matteo in vetta Bernasconi, Pasquetto e Della Bordella, in alto, sorridono ai 2700 metri dell’aguja Standhardt A sinistra Della Bordella in parete sulla Torre Egger nel 2013

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