Il dramma umanissimo di Nowhere Urla, tempesta e musica new age
Nowhere di Raphael Bianco ha l’ampiezza di un affresco, tridimensionale beninteso stiamo parlando di coreografia, spoglio di fronzoli e denso di carica emotiva. Lo spettacolo della compagnia Egribiancodanza ospitato nella stagione del BTT sabato alla Lavanderia (ore 21) è un affresco di uomini in viaggio, tanto reale quanto metaforico, che abilmente si muove fra espressività del gesto e stilizzazione dell’impaginazione. In ogni quadro, senza peraltro cesure, Bianco richiede concretezza ai suoi sette danzatori e al contempo li colloca in un’atmosfera sospesa, dove c’è tensione, ma non narrazione. La comunità umana che vediamo colta nel suo errare, nei suoi naufragi e nel tentativo di superare muri sarà pure quella della cronaca, migrante verso condizioni di vita migliori, ma al contempo è l’umanità tutta, alla ricerca del proprio posto nel mondo e dell’ultimo orizzonte al di là della siepe. Ci sono linee rotonde e una musica new age di Deuter nel primo quadro che propone una tempesta, smorzata da una luce fredda, con figure che poi prendono individualità fino a mostrarsi nei loro frammenti di storie e a scontrarsi fra loro e contro ostacoli insormontabili. Ora c’è violenza e claustrofobia e movimenti acuminati e talora stasi strazianti, in uno spazio che non può essere valicato. La luce è calda e la musica è quella dolente di Alexander Ebert del film Tutto è perduto. Due urli diversi e ugualmente impressionanti scandiscono il dramma umanissimo di Nowhere. Quello alla Munch, silenzioso e per ciò stesso sordo e impressionante della danzatrice che pare gridare la sua biografia. E quello urlato e catartico del danzatore in assolo, nel finale, che guida la sua scelta di percorrere una strada ugualmente ignota e perigliosa, ma diversa da tutti gli altri. La scena e le prospettive si aprono verso un altrove.