Il fascino e la forza del Filadelfia
Longo ha riconsegnato alla sua gente il simbolo del granatismo, dove il mito è vivo
Moreno Longo, il ragazzo del Filadelfia, non ha fatto il miracolo. Non poteva farlo, è stato bello sperarlo, doveroso crederlo. Il Filadelfia è posto magico, ma non bisogna chiedergli magie di grana troppo grossa, realistica, quasi blasfema. Magari senza conoscerlo. Qui di seguito un apporto particolare a questa conoscenza, da parte di un giornalista antico che si è riempito di Filadelfia.
Moreno Longo, il ragazzo del Filadelfia, non ha fatto il miracolo. Non poteva farlo, è stato bello sperarlo, doveroso crederlo. Il Filadelfia è posto magico, ma non bisogna chiedergli magie di grana troppo grossa, realistica, quasi blasfema. Magari senza conoscerlo. Qui di seguito un apporto particolare a questa conoscenza, da parte di un giornalista antico che si è riempito di Filadelfia.
Il mio Filadelfia delle partite del Toro, quando dalla gradinata a destra della tribuna, lo spicchio denominato «popolari laterali» (e rudere tuttora conservato per un provvido intervento della sovrintendenza), fra un tempo e l’altro, ci spostavamo nello spicchio simmetrico dall’altra parte, sfilando sotto la tribuna e cercando come già nei primi 45’ di arrivare il più vicino possibile al portiere avversario per raccontargli quanto stava facendo sua moglie a casa, approfittando della sua assenza.
Il Filadelfia evocato per il giornalista da Giuliano Giovetti, bravo centravanti cartavelina del Modena, del Como e del Torino: «Avevo la palla, la porta avversaria era lì, davanti a me difensori arcigni, non sapevo cosa fare, mi ritrovavo dentro la porta come aspirato dal tifo della gente granata, segnavo e non sapevo come era accaduto».
Il Filadelfia di Gianni Agnelli, lui, l’avvocato, che una volta a chi scrive chiese se sapeva cosa aveva fatto in omaggio al Grande Torino scomparso due anni prima, e fu lieto che il giornalista lo ricordasse e glielo riconoscesse. Nel 1951 aveva ingaggiato Ray Sugar Robinson, celeberrimo pugile Usa, supercampione del mondo, per un match facile contro il campione europeo dei pesi medi Cyrille Delannoit belga, e aveva voluto che lo show (tre riprese, ko tecnico, il 1o luglio) da lui offerto allo sport cittadino fosse ospitato al Fila dei morti di Superga.
Il Filadelfia del ragazzo che col papà aveva un patto: «se non salti un giorno di scuola vedi tutte le partite giocate lì dal Toro». Ci sono i registri scolastici parlanti del liceo Cavour, mai un’assenza e la presenza a tutte le cento e passa sfide degli Invincibili.
Il Filadelfia di Walter Veltroni che al ragazzo fattosi giornalista occasionalmente televisivo telefonò dopo che era andata in onda una sua rievocazione della fine di Gigi Meroni. Veltroni disse: «Sono juventino praticante ma mi sono commosso. Adoravo Meroni, era già bianconero, Gianni Agnelli rinunciò a portarlo via al Toro quando gli operai della Fiat, duri e forti, fecero capire che non era proprio il caso, e da uomo di sinistra apprezzai il tutto».
Il Filadelfia di Diego Novelli che era sindaco quando ci fu la demolizione e che sta ancora male perché lo hanno accusato
In alto i tifosi granata in attesa di poter entrare al nuovo Filadelfia Sotto Valentino Mazzola guida il Grande Torino di empietà sacrilega quando invece lui, fra l’altro tifoso granata vero, sapeva che lo stadio mitico e mistico era un pericoloso contenitore di amianto.
Il Filadelfia posto magico dove si diceva la verità, sul campo e non solo. Nereo Rocco, allenatore del Toro dal 1963 al 1967, impegnato come da copione del personaggio a bere vino rosso nel piccolo bar gestito dalli signora Cavallito che aveva un figlio promessa della Juventus, partecipò al giornalista la Verità sul ruolo dell’allenatore: «Contiamo poco o nulla , cosa volete che noi si insegni? già tanto se non facciamo danni».
Il Filadelfia di Carla Maroso e Sauro Tomà in sedia a rotelle quando fu riaperto, e loro due che dicevano al giornalista amico in lacrime di lasciarli morire in pace e andare a vivere nel segno del Toro.
Il Filadelfia dove il ragazzo che voleva fare il giornalista approdò una domenica in ritardo, papà aveva allungato il sonnellino dopo pranzo, la Lazio stava battendo il Toro per 3 a 0, il ragazzino scoppiò in lacrime, papà gli disse di stare sereno, «adesso Mazzola si rimbocca le maniche», e fu Toro-lazio 4 a 3.