I 1500 tumori causati dal lavoro che però non valgono l’invalidità
L’ordine dei medici ha elaborato un dossier: così non si riesce a fare neppure prevenzione
Ogni anno circa 1.500 piemontesi si ammalano di tumore a causa del lavoro che hanno svolto durante la propria vita. Ma questa correlazione spesso non viene individuata in via ufficiale, con gravi conseguenze per tutti: non riconoscere il legame tra certi tipi di cancro e il lavoro significa non tutelare né chi si è ammalato, che non può ambire ad alcun risarcimento del danno, né gli altri lavoratori perché nelle aziende si continua a non fare prevenzione.
Il problema vero è che tutto ciò accade molto spesso. Si stima, infatti, che appena il 10 per cento dei tumori attribuibili a fattori di rischio occupazionali venga effettivamente riconosciuto. È il caso, in particolare, dei tumori al polmone o alla vescica di cui ogni anno in Piemonte si hanno 600 nuove diagnosi.
Se n’è accorto l’ordine dei medici di Torino che, attraverso la sua commissione Salute e sicurezza ambienti di lavoro e di vita, ha elaborato un dossier sui tumori occupazionali «a bassa frazione attribuibile». E adesso l’ente vuole alzare il velo dal problema.
«Occorre più attenzione da parte dei medici di famiglia e degli oncologi che, solo raramente, chiedono al loro paziente che lavoro ha fatto nella vita perché prima, giustamente, pensano a salvargli la vita», osservano Riccardo Falcetta e Andrea Dotti, medici del lavoro e, rispettivamente, ex e attuale referente della commissione dell’ordine.
Punto di partenza: il 4-5 per cento dei tumori maligni è attribuibile a fattori legati al lavoro, ma esistono differenze rilevanti a seconda dei casi. Se, per esempio, il mesotelioma pleurico è ampiamente riconosciuto come lavoro correlato, per tumori al polmone o alla vescica, il legame con l’attività lavorativa è spesso sottostimato.
Va detto che oggi i contesti lavorativi sono meno a rischio
del passato. Una volta, le raffinerie di Torino e provincia erano trenta, adesso si contano sulle dita di una mano, lo stesso vale per gli stabilimenti di pneumatici. Per citare due dei contesti più rischiosi per i lavoratori. E si deve tener conto anche che le misure di sicurezza sono diventate più stringenti. Però i pericoli esistono anche nel 2020, come racconta Angelo D’errico, epidemiologo occupazionale della Asl To3: «Pensiamo ai danni che possono causare cromo e nichel, saldature, verniciature e, ancora, la formaldeide, che in sanità è ancora molto utilizzata per la conservazione di materiale biologico e le polveri di legno».
Cominciare ad avere più attenzione al legame tra salute e tumori, dunque, resta fondamentale. Altri due dati: su 381 tumori al polmone attribuibili alla professione, nel 2012 soltanto 21 sono stati riconosciuti come tali dall’inail, per quanto riguarda la vescica il confronto è 148 contro 26. Tradotto: il riconoscimento oscilla, rispettivamente, tra il 5-10 per cento e fra il 10-15.
I più frequenti
Al polmone e alla vescica: sono patologie la cui correlazione è più difficile
Norme inapplicate
Quelle che istituiscono il registro delle malattie professionali sono ferme
Dunque la strada da compiere è lunga. «In Emilia si formavano i colleghi dei reparti a più alta incidenza di tumori lavoro correlati perché svolgessero tutti gli adempimenti. In Piemonte questo va potenziato», sottolinea il professor Enrico Bergamaschi, ordinario di Medicina del lavoro dell’università di Torino. E Falcetta ricorda che da dodici anni in Italia esiste una legge che istituisce il registro delle malattie professionali, al di là del mesotelioma. Ma finora è stata inapplicata.