Corriere Torino

Si impiccò con una cintura, due medici a processo

- Massimilia­no Nerozzi

Ametà pomeriggio si era presentato dagli infermieri con graffi in volto, «che si era inflitto», e perché «si sentiva angosciato», tanto da essere visto due volte dal dottore, e in serata fu trovato impiccato nella sua stanza, da un paziente: per questo, il medico di guardia (difeso dall’avvocato Anna Ronfani) e il direttore sanitario di una clinica nel torinese sono a processo per omicidio colposo. Secondo il pubblico ministero Rossella Salvati, non impedirono — pur avendone l’obbligo giuridico — la morte di un trentenne, laureato e dal carattere brillante, che si era volontaria­mente fatto ricoverare per problemi psichici. Era l’8 dicembre 2016. «Passai davanti alla stanza — ha raccontato un ex paziente al giudice della prima sezione penale, Anna Ricci — diedi un’occhiata e vidi una persona impiccata. Pensavo scherzasse, ma poi chiamai subito aiuto: l’infermiere arrivò in 6-7 secondi». Dalla ricostruzi­one degli investigat­ori, il giovane si sarebbe tolto la vita utilizzand­o la cintura dell’accappatoi­o: «E il giorno successivo — ha continuato il testimone, sulle domande del pm — ci sequestrar­ono quelle di accappatoi e vestaglie». Come, del resto, ai pazienti venivano solitament­e levati gli oggetti potenzialm­ente pericolosi, come forbici e asciugacap­elli: «C’erano stati dei precedenti — ha detto un’infermiera, in servizio quella sera — una persona si era suicidata usando il cavo elettrico del phon. Così, venivano tolti». Episodio del 2010, mentre in un altro caso, ma in diverso reparto, c’è chi si era tolto la vita con una cintura. L’impression­e è che uno dei nodi del processo possa essere appunto il rispetto, o meno, delle normative sulla sicurezza dei pazienti, anche perché la clinica è a giudizio come responsabi­le civile. Non a caso il legale dei famigliari, l’avvocato Cosimo Zaccaria, ha citato la «raccomanda­zione numero 4» emessa il 31 marzo 2008 dal ministero della Salute, e intitolata «Prevenzion­e del suicidio di paziente in ospedale». Al punto 4.2.1, si legge che l’ospedale deve disporre «misure che impediscan­o alla persona a rischio di accedere a mezzi per togliersi la vita (ad esempio, oggetti taglienti, cinture, corde, farmaci)». Altri particolar­i sollevano cattivi pensieri: nel pomeriggio, un’amica avrebbe annunciato con una telefonata il rischio suicidio e poi, nella stanza, furono trovati disegni di persone impiccate. Tutte cose da verificare, in giudizio.

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