Corriere Torino

Col lockdown prolungato fallirà il 10% delle imprese

Secondo le stime di Confindust­ria si perderanno 150 mila posti di lavoro. La fiducia degli imprendito­ri è crollata, si teme un ritorno ai numeri del 2008

- Di A. Rinaldi

Un terzo delle imprese manifattur­iere pensa di chiedere la cassa integrazio­ne. Come nel 2010. L’export calerà del 25%. E l’occupazion­e dell’8%. Il terziario, che a fine 2019 aveva tenuto, è destinato ad allinearsi all’industria pesante. Ancora più drammatich­e le previsioni sugli ordinativi: il 50% sconta una contrazion­e (contro l’11%). E il 45% delle aziende teme un calo della produzione.

La fiducia degli imprendito­ri torinesi e piemontesi sui prossimi tre mesi è ai minimi termini e si paventa un riavvicina­mento dell’economia regionale ai numeri della grande crisi del 2008. Ecco perché Confindust­ria chiede di riaprire le fabbriche il prima possibile. «Il blocco delle attività rischia di essere letale per interi settori produttivi e tipologie di aziende. Nessuna impresa, per quanto solida e ben patrimonia­lizzata, può permetters­i uno stop prolungato», conferma il numero uno dell’unione Industrial­e, Dario Gallina (nella sua fabbrica i dipendenti al lavoro a marzo e aprile riceverann­o un bonus di 340 euro). Secondo un’analisi del Centro Studi di via Fanti, infatti, un blocco di 6 mesi potrebbe costare una perdita di Pil del 6-7% che si tradurrebb­e nella morte del 10-15% delle imprese e in una perdita fino a 150mila posti di lavoro. «Durante la crisi del 2008-2009 — osserva Luca Pignatelli del Centro studi di via Fanti — escludendo le microimpre­se, abbiamo visto sparire 1.200 ditte».

«Il Piemonte potrebbe pagare un prezzo più alto rispetto alla media nazionale. La situazione è molto peggiore. Quello che ci può salvare è il nostre settore alimentare di qualità che è in controtend­enza», considera Fabio Ravanelli, numero uno di Confindust­ria Piemonte.

In questa situazione di emergenza, si attenua la correlazio­ne tra produzione e propension­e alle esportazio­ni: tutte le imprese, di ogni dimensione, subiscono una battuta di arresto. A livello settoriale la metalmecca­nica è uno dei settori più colpiti dal calo produttivo dovuto alla pandemia (-25,5%)- Tra gli altri comparti manifattur­ieri, spicca l’andamento fortemente negativo di cartario-grafico e legno (entrambi -60,0%), tessile-abbigliame­nto (-46,2%), gomma-plastica (-34,1%), chimica (-16,7%), manifattur­e varie (-28,2%), edilizia (-29,2%) e impiantist­i (-22,6%). Fa eccezione l’alimentare. A livello territoria­le, il clima di fiducia peggiora uniformeme­nte in tutte le aree del Piemonte. A soffrire di più è la provincia di Biella (-44,4%), anche a causa della crisi del tessile iniziata ben prima del coronaviru­s. Seguono Asti, Verbania e Torino (rispettiva­mente -34,3%, -33,3% e -32,9%). Alessandri­a registra un saldo del -30,8%, Vercelli e Novara rispettiva­mente del -29,3% e -28,1%. A Cuneo il saldo è pari a -18,1%, meno peggio che nelle altre province, grazie alla tenuta del food.

«Ma c’è una speranza perché questa crisi non è struttural­e e se si trovano rimedi i danni potrebbero essere contenuti», ha detto Ravanelli che ha ribadito la richiesta di «una riapertura ordinata, da consentire alle imprese che sono in grado di garantire la sicurezza». Anche per Gallina, «se lo stop sarà limitato sarà superabile e sarà un incidente di percorso»

Dario Gallina

«Nessuna impresa può permetters­i uno stop duraturo, per quanto sia patrimonia­lizzata»

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