Corrado, il clochard-eroe: «Non chiamatemi barbone»
«Non sono un eroe, però sono contento di aver aiutato la signora Maria a salvarsi dalle fiamme». Il giorno dopo l’incendio che ha distrutto Cavanna, lo storico negozio di composizioni floreali in tessuto, Corrado Sanna è di nuovo in via Santa Teresa, seduto di fronte alla chiesa di San Giuseppe. Ha 63 anni ed è uno dei tanti clochard che vivono sotto i portici del centro, ma da qualche tempo dorme nel dehors della gastronomia di Silvia, uno dei suoi angeli custodi, che cerca di non fargli mai mancare un pasto caldo. Ieri mattina ha preso in prestito una sedia dal santuario e si è messo a leggere al sole. Proprio quello che stava facendo mercoledì, quando ha visto il fumo uscire dal locale sul marciapiede opposto.
«Non sono un eroe, però sono contento di aver aiutato la signora Maria a salvarsi dalle fiamme». Il giorno dopo l’incendio che ha distrutto Cavanna, lo storico negozio di composizioni floreali in tessuto, Corrado Sanna è di nuovo in via Santa Teresa, seduto di fronte alla chiesa di San Giuseppe. Ha 63 anni ed è uno dei tanti clochard che vivono sotto i portici del centro, ma da qualche tempo dorme nel dehors della gastronomia di Silvia, uno dei suoi angeli custodi, che cerca di non fargli mai mancare un pasto caldo. Ieri mattino ha preso in prestito una sedia dal santuario e si è messo a leggere al sole. Proprio quello che stava facendo mercoledì, quando ha visto il fumo uscire dal locale sul marciapiede opposto.
Che cosa ha fatto?
«Ho gettato a terra il libro e mentre attraversavo la strada i vetri sono esplosi. La signora stava cercando di spegnere le fiamme con l’acqua e voleva recuperare a tutti i costi la sua borsa, ma io l’ho convinta a uscire fuori e l’ho trascinata per un braccio. Mi spiace davvero, quel negozio rappresentava un pezzo di storia, distrutta nel giro di pochi minuti».
I residenti del quartiere l’hanno ringraziata per il suo intervento?
«Qui mi conoscono quasi tutti e credo che ci siano tante persone che mi vogliono bene. A cominciare dal parroco don Antonio. Un uomo mi ha comprato un panino col prosciutto e un altro mi ha regalato una banconota da 10 euro. Hanno letto il mio nome sui giornali e in tanti sono venuti a complimentarsi per il mio coraggio, a cominciare dalla signora Maria. Devo dire che mi ha fatto piacere, non capita molto spesso. Solitamente un senzatetto — per favore non chiamatemi barbone — viene considerato il rifiuto della società, ma a volte anche noi siamo capaci di combinare anche qualcosa di buono».
Legge spesso sui gradini della chiesa?
«Sempre, quando c’è il sole e ho ancora 4 libri tutti da scoprire nel mio zaino. Sto per finire Paula, di Isabell Allende, ma tanto so già che non ci sarà l’happy end. I libri me li regalano e io me li divoro, la lettura mi rilassa. E non mi fa pensare ai tanti problemi della mia esistenza».
Lei non rappresenta lo stereotipo del clochard. Come è finito a dormire in strada?
«Una storia avventurosa, ma non rimpiango nulla, o quasi. Sono nato a Noto, in provincia di Siracusa, dove la mia famiglia si era trasferita di ritorno dalla Libia. Ma a 8 mesi ero già a Torino. Mio padre cominciò a lavorare per la Fiat, poi si mise in proprio e vivevamo in una grande casa in collina, a Reaglie. Frequentavo compagnie altolocate, sciavo e giocavo a calcio, ero un’ala destra formidabile. Poi i miei divorziarono e mia madre si stabilì a Sanremo, in una bellissima villa con piscina. Il principio della fine».
Perché? Cosa è successo? «All’inizio era divertente andare a trovarla al mare, poi però mio padre si è ammalato gravemente ed è morto. Io volevo girare il mondo e ho cominciato a fare ogni tipo di lavoro. Per conto di una società torinese mi occupavo della verniciatura delle cisterne di petrolio e sono stato in Iraq, Turchia, Libia e in tanti altri paesi. Mi sono anche imbarcato su un peschereccio e dopo un lungo girovagare sono finito a Londra. Avevo una fidanzata, mi dovevo sposare, ma poi ho scoperto che mi tradiva».
Ed è per quello che è tornato in Italia?
«Sì, ma anche per dare una mano a mio fratello al Balon. Sono andato ad abitare in via Avellino, ma le cose non sono andate bene. Così mi sono allontanato da mio fratello e ho cominciato a frequentare certe compagnie e fatto diversi sbagli. E all’improvviso mi sono reso conto che quasi tutti i miei amici erano morti e mi sono ritrovato solo, in mezzo a una strada. Nessuno mi chiamava più per un lavoro, la patente me l’avevano ritirata e la discesa sembrava senza fine».
E adesso invece è terminata?
«Ora sono pulito, a posto. La gente mi chiamano per potare le piante o pulire i giardini. Ho un sogno. Tornare da mio fratello e andare a vivere in una cascina in campagna».
L’intervento «La signora stava cercando di spegnere, ma l’ho convinta a scappare via»