Corriere Torino

Acqua tratta dal vapore in caso di emergenza

«Breathe» è il progetto della startup Aquaseek tra Politecnic­o e Princeton per un’idea che presto diventerà anche «portatile» utilizzand­o l’energia del Sole In Africa come in Piemonte

- di Giulia Ricci

Si chiama «Breathe», respirare. E trasforma, in condizioni difficili, l’aria in acqua. Come nel deserto. È la tecnologia della startup Aquaseek, nata dalla mente del professore del Politecnic­o Marco Simonetti insieme a un ex docente, Gian Vincenzo Fracastoro, e a un suo dottorando, Vincenzo Gentile, sviluppata­si grazie all’apporto dell’università di Princeton e portata avanti grazie ad altri giovani che hanno dato un nome e un piano a un’idea.

«Tutto è nato nel nostro laboratori­o — racconta Simonetti

— che negli ultimi anni si è occupato di deumidific­azione dell’aria. Ci siamo chiesti, come possiamo riutilizza­re quel bene? Attraverso l’uso di materiali ad-sorbenti, che attraggono vapore e umidità e come una spugna li rilasciano sotto forma di acqua grazie al calore. E il nostro prodotto lo fa utilizzand­o energia sostenibil­e, come i pannelli solari, ma anche con l’elettricit­à». L’insufficie­nza di acqua potabile e i modi per produrla sono temi vecchi come il mondo, «li troviamo anche nel Manuale delle Giovani Marmotte», ma Breathe fa un salto in avanti. Il processo alla base, già brevettato, è attualment­e il più efficiente al mondo nel produrre acqua dall’aria in condizioni di aridità.

Mentre altri brevetti saranno depositati in collaboraz­ione tra il Politecnic­o e Princeton: «Sono quelli che riguardano i materiali innovativi e biocompati­bili che usiamo, basati sull’alginato, un derivato delle alghe viene usato anche per fare le caramelle. Oltre che economico, non lascerà mai alcuna traccia dannosa, dandoci la certezza che la nostra acqua sarà sempre perfetta da bere. E, al massimo — scherza — saprà un po’ di caramella». Le applicazio­ni sono innumerevo­li. «Breathe può rendere indipenden­ti ville in zone particolar­i, come l’africa del sud, dove c’è il rischio di un acquedotto inquinato; ma anche portare acqua nei posti dove non ce n’è, come nel deserto, per progetti di carattere umanitario». Ma potrebbe aiutare anche il Piemonte in situazioni emergenzia­li, come in caso di piccoli comuni isolati, e sostituire i classici contenitor­i in plastica delle aziende. E c’è anche un filone ancora da concretizz­are: «Un chilo del nostro materiale può assorbire un litro d’acqua, quindi Breathe potrebbe diventare portatile: una borraccia sofi

sticata che si attiva grazie a piccoli pannelli solari che srotoli dallo zaino».

Un prototipo già c’è, un altro in fase di costruzion­e sarà legato ad una serra idroponica rendendola a impatto zero; ma dopo la costituzio­ne della società, l’obiettivo sarà sviluppare il prodotto industrial­izzato. La tecnologia ha avuto il suo piano di business, con il quale è stata premiata alle finali della Start Cup Piemonte, grazie ad altri ex studenti: «Mi sono unito a loro — racconta Ruggero Colombari, dottorando in management — perché volevo aiutare un’idea così importante ad avere un impatto concreto nel mondo. La vision è far si che tutti possano avere l’acqua, ma anche combattere consuetudi­ni non sostenibil­i: il 63% degli americani compra plastica perché non si fida dell’acqua del rubinetto». Come conclude Simonetti, «siamo noi a dover ridurre la pressione sulle risorse rinnovabil­i, perché questo ci permetterà di lenire l’effetto del cambiament­o climatico. È solo uno dei sei goal dell’agenda 2030 che Breathe ha come obiettivo».

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Nella foto i protagonis­ti di «Breathe» che trasforma il vapore in acqua in condizioni difficili. Una idea che torna utile in zone desertiche e durante le emergenze
Équipe Nella foto i protagonis­ti di «Breathe» che trasforma il vapore in acqua in condizioni difficili. Una idea che torna utile in zone desertiche e durante le emergenze

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