Corriere Torino

Caterina, la luce dei film di Fellini

Il ricordo del figlio nel decennale della morte dell’attrice torinese di 8 e mezzo e Giulietta degli Spiriti

- di Fabrizio Dividi

«Scegliere le luci per Caterina è un problema. È lei che dà la luce, non siamo noi»; queste parole di Federico Fellini, riportate da Lina Wertmüller, manifestan­o tutta la stima che il grande regista provava per Caterina Boratto. È il figlio Paolo Ceratto, autore del recente Il lungo film di Fellini (Gruppo Editoriale Bonanno), a ricordarle, nel decennale dalla scomparsa dell’attrice nata nel 1915 in un edificio liberty in corso Francia a Torino e scomparsa a Roma all’età di 95 anni. «Era di San Donato, il quartiere degli attori — ricorda Ceratto — e viveva a poca distanza dall’abitazione di Macario». Aveva esordito nel cinema nel 1936 al fianco del tenore Tito Schipa in Vivere, straordina­rio successo diretto da Guido Brignone; con lui avrebbe girato 4 film fino al 1942, diventando una delle attrici più note del Paese.

Fu nel 1943 che ebbe inizio la sua amicizia con Fellini: «Nacque a Cinecittà, sotto le bombe del ‘43. E fu uno dei motivi per cui mamma fu inserita nel cast di Campo dei Fiori, co-sceneggiat­o dallo stesso Fellini, con la collaboraz­ione del torinese Tullio Pinelli». Il film contava su un cast stellare composto da Anna Magnani, Aldo Fabrizi e Peppino De Filippo; ma quella parte, per Caterina Boratto fu anche l’ultima, prima di un lungo distacco dal mondo del cinema. Paolo Ceratto lo motiva così: «In quei giorni mia madre era letteralme­nte a pezzi. Ad appena un anno dalla morte del fidanzato di allora, anche il fratello Filiberto, il più coccolato in famiglia, perse la vita. Fu trucidato dai tedeschi a Cefalonia dove proprio lei, la “sorella influente del cinema”, aveva fatto in modo di farlo trasferire per tenerlo al sicuro. Un rimorso che la torturava di continuo durante le riprese, tanto che quando si rivide sullo schermo, giudicando­si ferma e poco spontanea, decise che non avrebbe recitato mai più».

Gli anni passarono e dopo un momentaneo ritorno nel 1951 ne Il tradimento a fianco di Amedeo Nazzari, Caterina Boratto sparì dal grande schermo per altri 12 anni. Nel 1959 si trasferì a Roma «dove aprì una boutique» e fu lì che avvenne l’incontro, inaspettat­o e per certi versi magico, con il «faro». «Federico — racconta Ceratto — la incrociò per caso all’uscita di un grande magazzino, la fermò e dopo aver estratto al volo una penna dal taschino di un passante si appuntò il suo numero di telefono». Ne seguì un provino, e subito dopo la parte, niente di meno che in 8e mezzo. I ricordi del bambino di 8 anni a seguito della mamma in quel set sono ancora fulgidi: «Fui paracaduta­to in un’atmosfera irreale. Ebbi una visione quando mi trovai di fronte alla biondissim­a Edy Vessel che avevo visto ne Il ladro di Bagdad ma, soprattutt­o, fu lì che compresi di avere una mamma attrice. Le luci si accesero come in un sogno e lei assunse un aspetto regale; non sbatteva nemmeno le ciglia e quando il direttore della fotografia Gianni Di Venanzo mi fece spiare dalla macchina da presa capii quanto fosse fotogenica».

Il film 8 e mezzo segnò l’inizio di una seconda vita artistica dell’attrice: prima in Giulietta degli Spiriti, sempre di Fellini, e poi al fianco di registi come Blasetti, Sordi, Wertmüller, Risi e molti altri. Paolo Ceratto ne ricorda uno in particolar­e: «Pier Paolo Pasolini la volle per Salò. Un giorno ci invitò a pranzo nella villa di Sabaudia che condividev­a con Alberto Moravia. A un certo punto le disse: “Tu, Caterina, eri sempre diligente, obbediente; tu eri normale”».

Una «normalità» che Ceratto traduce in «understate­ment tipicament­e torinese» e di cui scrive in un numero di Mondo Niovo (edizioni Amnc) dedicato alla madre: «Per lei la vita è stata un viaggio nell’“esageruma nen”; nella riservatez­za intesa come personale forma di fierezza. La ricordo profondame­nte torinese, sia per il suo amore per la lingua piemontese, che per la tenacia e il modo di porsi. Era dotata di un’identità inafferrab­ile ed enigmatica e deteneva il segreto della saggezza, cioè di ciò che conta davvero nella vita. Ecco il fermo immagine che ho di lei nel cuore».

L’incontro nel ‘43 sotto le bombe, l’amicizia, lo stop di 12 anni e poi il ritorno al cinema con i più grandi

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