Annina, la nonna e l’albero dei congiunti
Gentile direttore, sono Annina della prima Liceo Artistico di Torino. Mia nonna, che è l’unica persona pensante di questa famiglia di squinternati, s’è messa lì e, secondo le disposizioni di Legge, ha fatto una lista precisa dei nostri congiunti. La nonna ha una parentela sconfinata che copre buona parte delle Langhe con diramazioni fino a Mondovì, Bene Vagienna e Cherasco. Abbiamo passato due pomeriggi a disegnare l’albero genealogico della sua famiglia in via maschile e femminile fino a scoprire degli, a me sconosciuti, parenti Abrate, Saffirio, Cora e altri dislocati tra Monesiglio, Pocapaglia e Verzuolo. Ogni tanto la nonna, che si è molto divertita, se n’è uscita con scoppiettanti risate: «Ah, la cugina Gemma di San Michele Mondovì, brutta forte, alta come una montagna, mangiava come un lupo, accanto a lei suo marito Vìgiu, che era un omino striminzito, spariva quasi. Quando è morta Vìgiu è come rinato, dicevano che era persino cresciuto in statura. Lei che non lo mollava mai si sarà rigirata nella tomba, dopo che è rimasto vedovo usciva tutte le sere a giocare a carte, s’era comprato un macchinone e aveva una che faceva la tabaccaia a Savona, giuro». E «Lei», indicando un nome sul paginone, «era Teresa che era figlia di una nostra cugina di Camerana, bellissima ragazza, i suoi avevano tanta terra, lei la voleva sposare il farmacista di Prunetto che poi invece aveva sposato un’altra di Cairo Montenotte e Teresa per il dispiacere s’è fatta poi suora, è andata fin nelle missioni in Africa, pensa». «Ma che grado di parentela abbiamo con lei?». «Uh, ma è morta nel ’87, mi ricordo benissimo. Sua cognata era andata a stare a Fossano e non ho più avuto notizie». Intanto è apparsa la mamma con un prendisole a fiori che mette ogni tanto al mare e una borsa di finta pelle che ha comprato l’anno scorso a Spotorno: «Io esco». La nonna l’ha guardata stupefatta. «E dove vai?», «A trovare Maria Grazia, facciamo un po’ di shopping, mi ha detto che da Zara si sono i saldi». «Ma sei già ben scema, mica puoi uscire». La mamma s’è messa a gridare: «Ma come non posso uscire? Sono due mesi che sono chiusa in ‘sta casa, non ne posso più, più!», «Fai cosa vuoi, ma se ti fermano i carabinieri?», «Sai dove me li metto i carabinieri, lo sai?!» e ha fatto un gesto non dei più fini. È arrivato anche papà tutto stirato e con il gel nei capelli: «Vado da Riccardo a portare la macchina che fa un rumorino che non mi piace niente». La mamma ha esclamato «Oh, bravo, così mi dai un passaggio da Maria Grazia». «Fino là? Ma sta a Settimo!», «Ma no, ci siamo date appuntamento al bar di Porta Nuova». La nonna ha fatto notare che forse il bar è chiuso. «Ma cosa dici, adesso il bar della stazione è chiuso, dai i numeri?». La nonna non ha risposto. Sono usciti. La nonna e io ci siamo guardate, lei mi fa: «Be’, posso dire? Affari loro». Ma dato che l’ho vista preoccupata le ho indicato i fogli sul tavolo: «E questo ramo qui?», «Oh, quelli sono gli unici che hanno fatto dei soldi, si erano comprati persino una villa in Costa Azzurra, mai più sentiti. Avevano adottato un ragazzo, ma non so che fine ha fatto». «Ma i figli adottivi valgono?», «Certo che sì, in ogni caso ho fatto il conto, sforano, sono alla settima generazione». (Poi alla sera mamma e papà sono tornati furibondi: i carabinieri hanno beccato lei e Maria Grazie senza mascherina in piazza Carlo Felice e papà in macchina in corso Giulio Cesare. Tra tutte e due se ne sono fatti per una bella cifra. La nonna non ha banfato).