Il racconto L’8 luglio del 1908 il pioniere dell’aria Lèon Delagrange fa alzare il suo apparecchio sul campo dell’allora nuovissima Piazza d’armi
Caro Henry, so che è venuto a trovarmi e la ringrazio. Sono ingarbugliata nel mio dolore, perduta, annientata. Leon e io siamo dello stesso paese, ci siamo conosciuti da bambini e per 12 anni, a dispetto di tutto ciò che avrebbe dovuto separarci, non ci siamo mai lasciati. Ci siamo amati così tanto che sarebbe necessario raccontarle tutta la nostra vita per spiegarle. Léon era un amico d’infanzia, maestro nell’arte, forza ed equilibrio della mia vita e io ero ambiziosa, desiderosa di vita. Mi sembrava tutto bello, interessante, lieto solo perché c’era lui, perché mi amava e perché potevo contare su di lui. Ora non c’è più niente. Niente. È morto lì davanti ai miei occhi... Non c’era nessuno, né amici, né parenti. I suoi meccanici e io lo abbiamo composto nella bara. Mi perdoni per questa lunga lettera che forse sbaglio a scrivere, ma sono sicura che la mia sofferenza potrà trovare un’eco nel suo cuore sempre così buono.
ÈThérèse
il gennaio del 1910 e Thérèse Peltier spedisce dal proprio indirizzo parigino questa straziante lettera di tre pagine. Il destinatario è Henry Deutsch de la Meurthe, imprenditore francese, petroliere e principale finanziatore delle ricerche nel campo del volo. Pochi giorni prima, il 4 gennaio, nell’aerodromo di Croix d’hins nei pressi di Bordeaux, era tragicamente scomparso, accartocciato dentro a un aeroplano, Léon Delagrange, le Dandy Volant, scultore e aviatore francese. Quella morte strazia il cuore della 37enne Thérèse, sua compagna, anch’essa scultrice, la cui scintilla si era accesa nell’estate del 1908, a Torino. Léon Delagrange uno dei leggendari pionieri del volo, era sempre alla caccia del superamento di un limite, alla ricerca di un metro di altezza o di un secondo in più con le ruote staccate da terra. Il mondo guardava a quelle macchine volanti come i cowboy guardavano al Far West: un misto di fascino, libertà, opportunità che è in tutte le cose che profumano di futuro. Il futuro in quel caso, aveva odore di gasolio, forma di ruote di bicicletta e ali fragili, tenute insieme da tiranti che, a loro volta, tenevano insieme i sogni di quegli aviatori.
In Europa l’epicentro degli esperimenti di volo era la Francia di Léon Delagrange, nato il 14 marzo del 1872 ad Orléans, che, acquistato un aeroplano prodotto dai fratelli Voisin, scorrazzava per i campi d’aviazione inebriandosi di adrenalina e di vento. Il nostro Paese non poteva restare indifferente a quella rivoluzione verticale e, anche quella volta, Torino fu all’avanguardia. L’ingegner Cinzio Barosi, un futurista, presidente dell’associazione Pro Torino, si recò nel marzo del 1908 a Parigi per incontrare, nel suo atelier, Léon Delagrange allo scopo di convincerlo a esibirsi nella città sabauda. Gli propose una tournée in tre tappe: la prima città sarebbe stata Roma, poi Milano e, infine, Torino. Léon accettò e il suo nome comparve ovunque: Delagrange volerà! era stampato a caratteri cubitali sui manifesti, in ogni strada. Qualche scettico sostituiva quel punto esclamativo con un sospettoso punto interrogativo, ma la discesa in Italia di quel profeta dagli occhi maliziosi era attesa come quella di un messia del verbo aeronautico.
Il 15 maggio 1908 Léon arrivò a Roma e gli esperimenti, davanti a migliaia di curiosi, fra i quali il Re Vittorio Emanuele III, ebbero un esito deludente. Falliti i primi tentativi, riuscì finalmente a far sollevare il suo aereo per un paio di chilometri, a un’altezza massima di due o tre metri dal suolo. Fra i più contrariati c’era il poeta Trilussa che, deluso dallo scarso spettacolo, scrisse in versi la sua sentenza: «Volava Delagrange, pieno de boria, più arto d’un mazzo de cicoria».
Anche a Milano iniziò male, ma il 23 giugno riuscì a volare per un totale di 14 minuti e 23 secondi, stabilendo così il suo nuovo record. Finalmente Léon arrivò in treno a Torino, il 25 giugno e il suo aeroplano, il Delagrange n°3, smontato in tutte le sue parti, arrivò con lui alla Stazione di Porta Nuova. Léon scelse una stanza all’hotel Suisse, in via Sacchi 2 e nel tardo pomeriggio di quello stesso giorno si recò al campo volo: la nuovissima, per i tempi, Piazza d’armi, la stessa di oggi. L’hangar di legno che custodiva il Delagrange n°3 venne allestito all’angolo fra i corsi Lepanto e Vinzaglio e verso sera Léon fece fare una «sgambata» al suo aeroplano. Qualcuno sosteneva, a mezza voce, che nei giorni torinesi avrebbe tentato di superare addirittura i dieci metri di altezza! Si costituì una giuria e il giorno dell’esordio, il 27 giugno, l’aeroplano venne tirato fuori a braccia e messo in moto. Volò per 150, forse 200 metri per un paio di giri del circuito. Servì uno stop per rifornire il motore di benzina e il pilota di una birra fresca, poi si risollevò, ma un’ala toccò le fronde di una fila di alberi, forse a causa di una folata di vento e il Delagrange n°3, con dentro Léon, si accartocciò in un fosso. I membri della giuria si precipitarono a vedere. Uno sventolare di cappelli indicò che il pilota era salvo, anzi stava tentando, inutilmente, di accendersi una sigaretta: i cerini che teneva in una tasca, nell’impatto, avevano preso fuoco! Con quella scatola bruciacchiata in mano Delagrange comunicò che gli esperimenti sarebbero stati sospesi. Il motore era intatto, i meccanici districarono quel groviglio di tiranti e ricucirono le tele lacerate di un’ala. Presto Léon e il suo Delagrange n° 3 sarebbero di nuovo stati pronti.
Finalmente, 8 luglio 1908, il grande giorno. Léon compie una serie di evoluzioni ben riuscite, nessun record, ma la giornata che di per sé è positiva, diventa storica al tramonto. Al momento di far rientrare il suo aeroplano nell’hangar, Delagrange cambia idea. Si porta vicino a Thérèse e con un gesto che a distanza di oltre cento anni risuona di romantica meraviglia, la invita a salire e lei, emozionatissima, accetta. Stanno in aria, quei due innamorati, per duecentocinquanta metri a due metri di altezza. Una sequenza di istanti, che letteralmente, le tolgono il fiato. Thérèse Peltier diventa così la prima donna ad aver volato su un aeroplano. Lo racconterà la sera stessa, scrivendo nella quiete dell’hotel Suisse, al figlio Jean, avuto da un precedente matrimonio: «Sono salita! Sono salita in aereo con Léon e abbiamo fatto circa 200 metri. È incredibile! Una dolcezza di cui niente può dare idea. Riesci a immaginare quando sogni di volare? È proprio così!». Thérèse, dopo la morte di Léon, non volerà mai più. D’altronde la storia era già stata scritta.
Un’immagine del triplano di Leon Delagrange che nei primi anni del secolo scorso si impegnò a conquistare i cieli, come tutti i pionieri dell’epoca
● Con l’inizio dell’emergenza coronavirus abbiamo scelto di raccontare con Mauro Berruto, storie di chi ha vinto ogni difficoltà.
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Thérèse in volo (d’amore) a Torino La prima donna al mondo su un aereo