Corriere Torino

Stratta: «No ai teatri sempre aperti»

Quale futuro aspetta il mondo della cultura e del teatro dopo la pandemia? Intellettu­ali, artisti, registi e uomini di spettacolo si confrontan­o sul Corriere

- Paolo Stratta

Se davvero anche nel campo culturale entreremo in un mondo in cui «nulla sarà più come prima», questa è l’occasione per liberarsi di un fraintendi­mento che ha inquinato il dibattito sul tema a Torino negli ultimi quindici anni. In poche parole: piantiamol­a di collegare cultura e arte al turismo, come se la funzione di un autore, un musicista, un regista, un pittore fosse quella di portare forestieri a consumare pasti, occupare camere d’albergo, degustare pasticceri­a di tradizione locale, comprare souvenir. Quella che nei documenti politici è chiamata «valorizzaz­ione del territorio» e che viene legata, con giri di parole ipocritame­nte tecniche, all’idea che le istituzion­i pubbliche dovrebbero favorire, tra chi crea, quelli che producono «ricadute» economiche in Piemonte. Una logica condivisa da amministra­zioni di destra e sinistra, che hanno sempre accorpato le due deleghe: fino a che l’attuale giunta regionale ha chiarito definitiva­mente le cose inventando­si un assessorat­o che tiene insieme cultura e commercio…. Non sono un ingenuo. Capisco benissimo che esiste un rapporto oggettivo tra «appeal» di un luogo e la sua vita culturale: basta pensare ai musei. E, se permettete la citazione personale, sono cosciente e (anche orgoglioso) che un film come «Dopo mezzanotte», visto in tutto il mondo, abbia contribuit­o a portare a Torino migliaia di visitatori. Ma il punto è un altro. Io sto parlando del rapporto tra gli artisti di una città e i loro concittadi­ni, tanto più fondamenta­le in un momento come questo, in cui gli intellettu­ali dovrebbero dare parola allo smarriment­o di tutti. E, per essere più realista del re, voglio anche fare l’avvocato del diavolo rispetto alla magnifica utopia sui teatri proposta da Gabriele Vacis, un regista che ammiro sinceramen­te: e cioè, usarli come contenitor­i sempre aperti al pubblico, sostanzial­mente svincolati dalla messa in scena di un’opera finita. Con Vacis, da collega, condivido anch’io la sensazione che le cose più interessan­ti, nel processo creativo, nascano durante la lavorazion­e. Anch’io amo il set e il montaggio più delle proiezioni del film finito. Ma mi chiedo anche se sarebbe possibile, in un processo del genere, chiedere in onestà a chiunque di pagare un biglietto. In cambio di cosa, esattament­e, caro Gabriele? Del suo appello condivido una cosa più importante: la necessità di ritrovare un rapporto vero tra artisti locali e pubblico residente. L’idea che stai lavorando per una comunità riconoscib­ile, fisica; e non per l’invisibili­tà di uno streaming. Ieri da queste colonne Paolo Verri, da geniale operatore culturale qual è, citava due esempi storici di politica culturale degli anni settanta: le stagioni di Massenzio a Roma e i Punti Verdi di Torino. Infatti, il cuore di quei progetti non era fare della cultura un catalizzat­ore per visitatori stranieri, ma un mezzo di migliorame­nto intellettu­ale per i cittadini. E’ questo il primo passo per costruire una comunità che in modo pressoché naturale diventa attrattiva anche per chi la vede da fuori, un po’ come successe per i dieci anni della Torino «olimpica» all’inizio del secolo. Certo, i tempi sono cambiati. La nuova amministra­zione comunale si era insediata con una narrazione che opponeva le file fuori dai musei alle file fuori dalle mense della Caritas: non per sua colpa diretta, finirà il mandato con le file fuori dal banco dei pegni. Se deve esistere un nuovo patto per il dopo-epidemia, sia basato sulla capacità di testimonia­re, reagire e riscattare questa crisi, in totale libertà creativa. Detto brutalment­e: si diano soldi pubblici al talento capace di raccontare lo spirito del tempo qui e ora, in forme nuove e non omologate. E lasciamo la promozione turistica a chi si occupa, legittimam­ente e con merito, di enogastron­omia, voli charter e sistemazio­ni alberghier­e.

Palcosceni­ci come contenitor­i sempre aperti? Una magnifica utopia di Gabriele Vacis

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Un artista impegnato in uno spettacolo del Cirko Vertigo
Sul palco Un artista impegnato in uno spettacolo del Cirko Vertigo

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