Ferrario: un nuovo patto tra artisti e pubblico
La funzione e le dinamiche che sottostanno a uno spettacolo non sono le stesse di un museo, di un cinema o di un negozio: si può prescindere quasi da tutto ma non dagli artisti. Le indicazioni che ha dato il comitato tecnico scientifico su una possibile riapertura nella prima settimana di giugno vanno messe al vaglio di un principio fondamentale che è quello secondo cui le misure adottate vengono valutate dopo 14 giorni prima di ogni ulteriore rimodulazione. Quindi il tema non è tanto se riaprire o meno, fermo restando che un piccolo teatro non potrà riaprire in queste condizioni. È piuttosto importante comprendere come gli enti pubblici indirizzeranno le risorse verso iniziative certamente realizzabili piuttosto che canalizzarle verso programmi che rischiano di polverizzare somme importanti suscettibili di variazioni e addirittura cancellazioni ogni 15 giorni. E come sapranno dimostrare che questi interventi vadano in effetti a beneficio degli artisti, che prima ancora di tornare ad esibirsi davanti un pubblico, nel rispetto della propria qualità, avranno bisogno di ritrovare la loro pratica quotidiana e la comunità artistica e tecnica di riferimento. La matrice del calcolo dei rischi ci dice che se un rischio può essere evitato deve essere evitato, se non può essere evitato dobbiamo esporci per il minor tempo possibile. L’occasione della riapertura al pubblico dello spettacolo dal vivo si manifesta come il classico demone del sesto cielo: una irrinunciabile opportunità che ci depista dagli obiettivi. In anni normali a quest’epoca i cartelloni estivi erano già pienamente conclusi e pianificati nei dettagli, in un momento di emergenza, in cui vanno messe a fuoco le priorità e siamo chiamati tutti ad uno scatto di crescita e una vera e propria transizione tecnologica, non possiamo pensare di fare il nuovo con il vecchio (sia chiaro in termini organizzativi e gestionali). Pensando soprattutto che nel prossimo quinquennio le risorse per la cultura andranno contraendosi, siamo chiamati a raggiungere platee sempre maggiori di spettatori, ulteriori a quelle delle capienze delle nostre sale, già oggi insufficienti a sostenere appieno l’arte. Un fatto anche democratico di accesso alla cultura. Non c’è urgenza di far proliferare arene o palchi all’aperto con sprechi di risorse a fronte di potenziali restrizioni quindicinali, con anche i rischi noti che la gestione di un evento all’aperto comporta in più rispetto ad uno al chiuso. E non è attuale l’ipotesi romantica di tenere aperti i teatri h24, sia per i costi insostenibili, sia perché non tutti gli artisti hanno intenzione di lavorare al processo creativo come in uno svelato set di Nanni Loy di Specchio segreto, in cui dovrebbero recitare la parte di chi prova invece di godere di quella libertà e intimità protetta, tipica del processo creativo di compagnia.
Non dobbiamo avere fretta di sbagliare, passiamo i primi mesi ad affilare le armi, sosteniamo gli artisti nel ritrovare la propria “sanità” creativa in spazi protetti, accompagniamo i teatri e gli artisti all’uso della fibra, oltre che della mascherina, una buona pratica lungimirante alla ricerca di spettatori che potranno mancare “in presenza” per tutta la prossima stagione e che una volta raggiunti costituiranno un patrimonio inestimabile. Il teatro ha una capienza fissa, lo streaming la estende potenzialmente all’infinito.
Credo che i cittadini sapranno capire che un investimento vale di più di un costo estemporaneo e rischioso e non si lamenteranno se per una estate non ci saranno eventi all’aperto – cancellabili in tempo reale o limitatissimi nei generi e negli organici – sapendo che quando potremo tutti riabbracciarci e godere di uno spettacolo curato e provato nei dettagli, anziché realizzato con mille compromessi che non soddisfano nessuno, sarà davvero bellissimo.
Non c’è urgenza di far proliferare arene o palchi all’aperto con sprechi di risorse