Castellani: «Affidiamo ai ventenni le sfide di Torino»
Le priorità per l’ex sindaco: «La transizione verde dell’economia, la trasformazione digitale, la tutela della salute, e infine le diseguaglianze, le periferie»
Per l’ex sindaco Valentino Castellani, Torino è attesa da quattro sfide importanti: «La transizione verde dell’economia, la trasformazione digitale, la tutela della salute, e infine le diseguaglianze, se vogliamo chiamarle con un luogo fisico, le periferie». E su chi sarà chiamato ad affrontarle, Castellani non ha dubbi: «Sarà la generazione dei ventenni». Ai quali suggerisce: «Usino però il noi, basta con l’individualismo». Una critica all’attuale amministrazione? «Si è illusa di bastare a se stessa».
Valentino Castellani, 80 anni, è stato il sindaco del primo piano strategico, l’uomo della grande transizione di Torino. «Una transizione nata in risposta alla crisi della cittàfabbrica negli anni Novanta, ma congelata — riconosce l’ex docente del Poli — da un altro dissesto, quello globale del 2008». E ora che sulla città si allunga di nuovo l’ombra di una crisi, questa volta innescata dall’epidemia di coronavirus, secondo Castellani «è necessario tornare a mettere in campo una quantità rilevante di risorse ed energie. Quelle che nell’immediato Dopoguerra furono impiegate nella ricostruzione».
Professore, a quali risorse ed energie sta pensando?
«A quelle della generazione dei ventenni. Sono loro che saranno chiamati a questa ricostruzione. Ma a una condizione».
Quale?
«Che siano consapevoli di dover passare da un contesto culturale in cui prevaleva l’“io” a un atteggiamento nuovo in cui prevarrà il “noi”».
E c’è spazio per questi «giovani del noi»?
«Dobbiamo domandarci con consapevolezza: quanto siamo in grado di arruolarli?».
Arruolarli per fare cosa?
«La città ha davanti a sé quattro sfide fondamentali per il futuro: la transizione verde dell’economia, la trasformazione digitale, la tutela della salute, e infine le diseguaglianze; se vogliamo usare un nome fisico, le periferie».
E davanti a queste sfide Torino può pensare di farcela da sola?
«No, non è possibile. Ma la città deve puntare a essere motore di sviluppo. Il prossimo sindaco dovrà rivendicare questo ruolo con il governo nazionale e con l’europa. Per poter contare su risorse adeguate che consentano di programmare per tempo le risposte ai problemi».
Ma in una situazione di perenne incertezza come si fa a programmare?
«La crisi che ci aspetta sarà drammatica, non durerà meno di dieci anni. Non bisogna farsi cogliere impreparati. Questo il momento di redigere un piano strategico di lungo periodo».
Un altro piano strategico?
«Io non voglio mitizzare i piani strategici. Ma se non ci si pone un obiettivo per il futuro, se non si sa dove si vuole andare, si rischia l’improvvisazione, tanto più quando le risorse sono scarse. Se invece si ha in mente una meta, si cerca di raggiungerla».
E a chi tocca indicarla?
«Nessuno può pensare di essere autosufficiente. Se dovessi fare una critica all’amministrazione Appendino direi che ha coltivato l’illusione autoreferenziale di bastare a se stessa: noi sappiamo, noi facciamo».
Invece…
«Invece bisogna avere l’umiltà di mettere insieme le persone attorno a un progetto comune che reinventi un percorso di sviluppo per il futuro della città. Senza alleanze fuori dagli schemi precostituiti e senza una squadra di belle intelligenze e buone volontà, non sarà facile uscire dalla crisi».
Il divario tra le «due Torino», quella di chi arranca e quella di chi si identifica in una avanguardia innovativa, è destinato a crescere?
«Temo di sì. E non si può lasciare indietro un pezzo significativo di città, pensando che l’altro pezzo possa avanzare autonomamente. Abbiamo visto negli ultimi anni che cos’è successo con le periferie...». Che cos’è successo?
«Sono rimaste sullo sfondo e non vorrei che ancora una volta venissero usate, in vista delle elezioni del 2021, solo come un tema da campagna elettorale. Per trarre vantaggio dalla rabbia sociale». La politica cittadina sarà all’altezza del compito?
«Io resto contrariato quando vedo chi cerca di approfittare di questa situazione d’emergenza per il proprio tornaconto elettorale. La politica si trova davanti alla grande sfida di uscire dalle logiche della contrapposizione. Per guardare avanti deve parlare alla testa e al cuore, non alla pancia. Le metafore belliche non mi piacciono, ma questo è l’insegnamento che ci ha lasciato la generazione dei nostri padri, quando hanno ricostruito il Paese dopo l’ultima guerra».
La crisi sarà drammatica, non durerà meno di dieci anni. Non bisogna farsi cogliere impreparati. Questo il momento di redigere un piano strategico
Se dovessi fare una critica all’amministrazione Appendino direi che ha coltivato l’illusione di bastare a se stessa: noi sappiamo, noi facciamo