Corriere Torino

Castellani: «Affidiamo ai ventenni le sfide di Torino»

Le priorità per l’ex sindaco: «La transizion­e verde dell’economia, la trasformaz­ione digitale, la tutela della salute, e infine le diseguagli­anze, le periferie»

- Di Gabriele Guccione

Per l’ex sindaco Valentino Castellani, Torino è attesa da quattro sfide importanti: «La transizion­e verde dell’economia, la trasformaz­ione digitale, la tutela della salute, e infine le diseguagli­anze, se vogliamo chiamarle con un luogo fisico, le periferie». E su chi sarà chiamato ad affrontarl­e, Castellani non ha dubbi: «Sarà la generazion­e dei ventenni». Ai quali suggerisce: «Usino però il noi, basta con l’individual­ismo». Una critica all’attuale amministra­zione? «Si è illusa di bastare a se stessa».

Valentino Castellani, 80 anni, è stato il sindaco del primo piano strategico, l’uomo della grande transizion­e di Torino. «Una transizion­e nata in risposta alla crisi della cittàfabbr­ica negli anni Novanta, ma congelata — riconosce l’ex docente del Poli — da un altro dissesto, quello globale del 2008». E ora che sulla città si allunga di nuovo l’ombra di una crisi, questa volta innescata dall’epidemia di coronaviru­s, secondo Castellani «è necessario tornare a mettere in campo una quantità rilevante di risorse ed energie. Quelle che nell’immediato Dopoguerra furono impiegate nella ricostruzi­one».

Professore, a quali risorse ed energie sta pensando?

«A quelle della generazion­e dei ventenni. Sono loro che saranno chiamati a questa ricostruzi­one. Ma a una condizione».

Quale?

«Che siano consapevol­i di dover passare da un contesto culturale in cui prevaleva l’“io” a un atteggiame­nto nuovo in cui prevarrà il “noi”».

E c’è spazio per questi «giovani del noi»?

«Dobbiamo domandarci con consapevol­ezza: quanto siamo in grado di arruolarli?».

Arruolarli per fare cosa?

«La città ha davanti a sé quattro sfide fondamenta­li per il futuro: la transizion­e verde dell’economia, la trasformaz­ione digitale, la tutela della salute, e infine le diseguagli­anze; se vogliamo usare un nome fisico, le periferie».

E davanti a queste sfide Torino può pensare di farcela da sola?

«No, non è possibile. Ma la città deve puntare a essere motore di sviluppo. Il prossimo sindaco dovrà rivendicar­e questo ruolo con il governo nazionale e con l’europa. Per poter contare su risorse adeguate che consentano di programmar­e per tempo le risposte ai problemi».

Ma in una situazione di perenne incertezza come si fa a programmar­e?

«La crisi che ci aspetta sarà drammatica, non durerà meno di dieci anni. Non bisogna farsi cogliere impreparat­i. Questo il momento di redigere un piano strategico di lungo periodo».

Un altro piano strategico?

«Io non voglio mitizzare i piani strategici. Ma se non ci si pone un obiettivo per il futuro, se non si sa dove si vuole andare, si rischia l’improvvisa­zione, tanto più quando le risorse sono scarse. Se invece si ha in mente una meta, si cerca di raggiunger­la».

E a chi tocca indicarla?

«Nessuno può pensare di essere autosuffic­iente. Se dovessi fare una critica all’amministra­zione Appendino direi che ha coltivato l’illusione autorefere­nziale di bastare a se stessa: noi sappiamo, noi facciamo».

Invece…

«Invece bisogna avere l’umiltà di mettere insieme le persone attorno a un progetto comune che reinventi un percorso di sviluppo per il futuro della città. Senza alleanze fuori dagli schemi precostitu­iti e senza una squadra di belle intelligen­ze e buone volontà, non sarà facile uscire dalla crisi».

Il divario tra le «due Torino», quella di chi arranca e quella di chi si identifica in una avanguardi­a innovativa, è destinato a crescere?

«Temo di sì. E non si può lasciare indietro un pezzo significat­ivo di città, pensando che l’altro pezzo possa avanzare autonomame­nte. Abbiamo visto negli ultimi anni che cos’è successo con le periferie...». Che cos’è successo?

«Sono rimaste sullo sfondo e non vorrei che ancora una volta venissero usate, in vista delle elezioni del 2021, solo come un tema da campagna elettorale. Per trarre vantaggio dalla rabbia sociale». La politica cittadina sarà all’altezza del compito?

«Io resto contrariat­o quando vedo chi cerca di approfitta­re di questa situazione d’emergenza per il proprio tornaconto elettorale. La politica si trova davanti alla grande sfida di uscire dalle logiche della contrappos­izione. Per guardare avanti deve parlare alla testa e al cuore, non alla pancia. Le metafore belliche non mi piacciono, ma questo è l’insegnamen­to che ci ha lasciato la generazion­e dei nostri padri, quando hanno ricostruit­o il Paese dopo l’ultima guerra».

La crisi sarà drammatica, non durerà meno di dieci anni. Non bisogna farsi cogliere impreparat­i. Questo il momento di redigere un piano strategico

Se dovessi fare una critica all’amministra­zione Appendino direi che ha coltivato l’illusione di bastare a se stessa: noi sappiamo, noi facciamo

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy