E le case di riposo ora non accettano più nessuno
«Le Rsa non stanno più ricoverando», ammette Michele Assandri, responsabile dell’anaste Piemonte, l’associazione nazionale Strutture della terza età, una delle sigle che rappresenta i gestori delle case di riposo. Quando dice che hanno chiuso le loro porte si riferisce a tutti. Sia ai nuovi ospiti, sia a quelli che già vivevano in Rsa, che hanno contratto il coronavirus, sono stati trasferiti in ospedale ma che adesso hanno due tamponi negativi. Insomma, sono guariti. È l’ultimo dramma per i nostri genitori e nonni, i più esposti all’epidemia, tanto che ancora oggi i contagi da coronavirus nelle Rsa rappresentano il 30 per cento dei nuovi casi. E così gli anziani adesso continuano a riempire gli ospedali, malgrado nelle strutture si stimi ormai un dieci per cento di posti liberi tra decessi e mancati ricoveri. «I reparti stanno scoppiando — riconosce Assandri —, ma noi chiediamo alla Regione che venga stabilito un protocollo per la riammissione in Rsa. Anzi, ce lo chiedono le nostre assicurazioni. Una circolare del ministero della Salute prevede una settimana di isolamento e, al termine, un ulteriore tampone. Speriamo che quanto meno il Piemonte recepisca queste indicazioni. E, ancora, servono ambulanze dedicate o comunque sanificate». L’anaste lo ha chiesto con una lettera inviata venerdì all’assessore alla Sanità, Luigi Icardi, firmata anche da altre dieci associazioni di gestori. La premessa è chiara. «Vogliamo che le strutture diventino e permangano immuni dal contagio, nel tempo di convivenza con il virus che ancora ci attende, rimuovendo il giudizio sociale che ci dipinge incredibilmente quasi come luoghi di “strage”». Tradotto: le Rsa non possono più permettersi il rischio di una nuova esplosione di contagi e decessi. Nel frattempo, le Asl hanno cominciato a eseguire i tamponi su ospiti e operatori, ma non tale da garantire un monitoraggio costante. «Ci hanno detto — rivela Assandri — che il primo giro di tamponi finirà il 23 maggio». Nella lettera, i gestori si dicono disponibili ad effettuare periodicamente tamponi o test sierologici in autonomia. Ma, alla Regione, chiedono anche una «forma di partecipazione alle spese», durante l’emergenza, in attesa che si possa tornare a parlare della revisione delle tariffe per le Rsa, «al fine di riuscire a sostenere i costi determinati dall’adeguamento del contratto collettivo nazionale».