Corriere Torino

«Gay, terrone, schiavo: le mie foto per i diritti»

Il fotografo torinese Lo Calzo vive tra Parigi e l’africa: «Credo nella comunione per le lotte civili e indagando sulla schiavitù ho fatto un profondo lavoro su me stesso»

- Francesca Angeleri

Recita un proverbio africano: «Finché non ci sarà chi racconta le storie dalla parte dei leoni, esisterà la sola gloria dei cacciatori». Il fotografo torinese Nicola Lo Calzo sta riscrivend­o la storia dalla parte del leone. Dal 2010 ha intrapreso una lunga peregrinaz­ione fotografic­a attraverso l’africa, i Caraibi, l’europa e le Americhe sulla rotta della tratta degli schiavi. Cham è il titolo di un progetto artistico, politico, antropolog­ico che si evolve sulla prospettiv­a della diaspora africana. La sua controstor­ia è oggetto dell’attenzione di molti musei nel mondo, di grandi giornali internazio­nali da Le Monde al New Yorker e sarà al centro dell’incontro Foto-talk giovedì sul canale Instagram di Camera. Si affronterà l’ultimo capitolo di Cham, Binidittu, realizzato in Sicilia.

Chi è Binidittu? «Benedetto Manasseri fu il primo santo nero, afro-siciliano, conosciuto come San Benedetto il Moro. Nacque nel 1524 come uomo libero da una coppia di schiavi. La Sicilia riforniva di zucchero il bacino del Mediterran­eo anticipand­o il modello della piantagion­e schiavista americana.

La sua fama religiosa di guaritore era fortissima sia in Sicilia che nelle Americhe, ma il suo era un culto scomodo che la Chiesa fece scomparire. Il popolo lo voleva santo e il primo processo per la canonizzaz­ione fu nel 1591, l’ultimo nel 1807. È una figura fondamenta­le per testimonia­re che la presenza dei neri su questa nostra terra non è di oggi».

In quale modo si è avvicinato a questa tematica?

«A Parigi sono entrato in contatto con la cultura creola e ho percepito un’affinità: combatteva­no per veder riconosciu­ta una dignità di cui erano privati per il colore della pelle, c’era una forte corrispond­enza con la mia esperienza di omosessual­e. Sono processi di marginaliz­zazione e stigmatizz­azione vissuti su piani diversi. Credo nella comunione delle lotte per i diritti civili. Questo progetto sulla schiavitù è stato un profondo lavoro su di me».

Come è avvenuto?

«Per gradi. Sono sempre stato un ibrido in bilico tra mondi paralleli. A partire dal processo di consapevol­ezza sulla mia sessualità. E poi la fotografia: ho lasciato l’italia per il bisogno di trovare me stesso e mettere in discussion­e la mia posizione nel mondo. A Torino mi sentivo un “terrone” non all’altezza della civiltà “savoiarda”, a Parigi mi sono scoperto bianco. Non siamo mai in un sistema neutro, ci sono sempre logiche di dominazion­e».

Cos’è l’identità?

«È un dialogo permanente con tutte le parti di me. Non ho trovato un’identità ma una certa pace sì. Anche nel rimettermi sempre in discussion­e».

La sua è un’arte politica?

«Non sono un artista politico, lo sono i soggetti delle mie opere. La schiavitù è un soggetto politico. Non voglio associarmi a un’ideologia, voglio rimanere libero. Stimolare alla riflession­e attraverso ciò che faccio».

Cham l’ha resa libero? «Cham sta terminando. Seguirò ancora le orme di Binidittu in Brasile e poi sarà il tempo per una mostra per il decennale».

Dignità Nella mia città d’origine non mi sentivo all’altezza, me ne sono andato per mettermi in discussion­e

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Alcune delle immagini più recenti del progetto artistico Cham di Nicola Lo Calzo: questo capitolo si intitola Binidittu ed è stato realizzato in Sicilia; la prossima tappa sarà il Brasile, quindi una mostra per il decennale del progetto, un viaggio fotografic­o iniziato nel 2010
Gli scatti Alcune delle immagini più recenti del progetto artistico Cham di Nicola Lo Calzo: questo capitolo si intitola Binidittu ed è stato realizzato in Sicilia; la prossima tappa sarà il Brasile, quindi una mostra per il decennale del progetto, un viaggio fotografic­o iniziato nel 2010
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