Il coronavirus, trappola per il carcere
Si fa più fatica ad assicurare i diritti dei detenuti durante questa emergenza
L’articolo di Paolo Coccorese sul Corriere di Torino del 1° giugno descrive bene la situazione del carcere della nostra città in questi tempi di Covid-19. Vi si legge tra l’altro che «le persone rinchiuse [nel Lorussocutugno] sono state dimenticate dalla Regione e dal Comune».
Non entro nel merito. Su di un piano generale vorrei però osservare che la “dimenticanza” - riferita al carcere - è figlia primogenita di una “cultura” spesso inconsapevole ma radicata.
La “cultura” di chi sta fuori, che di solito si esprime con frasi del tipo: «se lo sono voluto; se lo meritano; buttiamo via la chiave».
Si sono emozionati anche i vigili urbani, passati a controllare. La vista dei bambini con i loro grembiulini blu, seduti in cerchio nel prato dei giardini del Palagiustizia con le maestre, ha restituito una «parvenza di normalità» a tutti. Ai bambini, ma anche a genitori, nonni, passanti.
La classe seconda C della primaria Alfieri dell’ic Montalcini ieri mattina ha risposto all’appello della maestra Patrizia Venesia affiancata dall’insegnante di sostegno Veronica Puglisi. Tutti presenti per un ultimo giorno di scuola all’aperto, dalle 9 alle 11, con il sostegno dei genitori e senza coinvolgere la dirigenza scolastica, nel giorno di vacanza per il ponte.
Ventidue bambini di 7 anni, ciascuno con il suo tappetino e la bandierina segnaposto con il nome, a distanza di sicurezza. Zainetto, mascherine e gel igienizzante. Emozionati come alla prima campanella, dopo tre mesi di didattica a distanza, si sono messi a cantare «Ma il cielo è sempre più blu» di Rino Gaetano che con le parole riscritte da un papà musicista è diventato «ma il tablet non lo voglio più, dal vivo mi piace di più». Una lezione organizzata nei minimi dettagli, con l’impianto di amplificazione, la lettura della storia «Il venditore di felicità» già ascoltata all’inizio dell’anno e un grande barattolo dove raccogliere i «pensierini felici» degli ultimi tre mesi.
Anche la maestra Venesia si è commossa quando ha pescato il bigliettino di Sofia, sempre l’ultima a scollegarsi dalle lezioni online e a dire ciao agli altri. «Ora il mio desiderio si è avverato, le mie maestre e i miei compagni tutti insieme dal vivo. È una grande gioia».
Un condensato di lacrime, ginnastica sul posto e gara di tabelline. «Rivedersi tutti insieme è diverso che incontrarsi alle altalene, è stata la classe che ha potuto ritrovarsi», commenta la maestra, tirando un sospiro di sollievo dopo aver temuto fino all’ultimo che qualcosa potesse andare storto.
«Abbiamo voluto dimostrare che si può fare, per dare a tutti i bambini questa possibilità: se ci siamo riusciti noi, anche altre classi potranno seguire il nostro esempio alla luce del sole». È bastato darne comunicazione alla Questura, che non ha sollevato obiezioni, e garantire tutte le norme anticontagio per ridurre il rischio al minimo. Ai «grandi» la questione dell’ultimo giorno di scuola può sembrare un dettaglio.
Ma per i bambini non lo è. «Dopo tanto tempo soli davanti ad uno schermo, vedersi di persona è bellissimo per loro e anche per noi genitori», osserva una mamma, che ha aderito insieme agli altri senza timori di sorta. I bambini hanno patito l’isolamento, molti hanno perso la voglia di uscire.
L’idea di poter rivedere maestre e compagni li ha tenuti svegli la notte. E ieri mattina, ancora a casa, c’è chi ha voluto la foto ricordo con il grembiulino che dopo tanto tempo ormai va stretto. «Un incontro del genere è molto più controllato rispetto agli assembramenti che si creano qui al pomeriggio o altrove», fa notare un papà che aggiunge: «è anche un segnale per settembre perché se non ci facciamo sentire noi, qui la scuola è dimenticata». Un gesto simbolico, un segno di speranza. Tanti genitori della seconda C non hanno mai smesso di lavorare, l’idea di una riapertura a intermittenza preoccupa molto.
C’è chi pensa di costituire un comitato, sulle chat il dibattito è acceso. «La nostra più grande preoccupazione è cosa accadrà a settembre — conferma Monica Mantuano, rappresentante di classe —. Abbiamo iniziato a discuterne, temiamo che non vengano garantiti né la mensa né il tempo pieno: andremo alla ricerca di aule, spazi anche all’aperto».
Ma ai bambini nel frattempo basta sapere che il coraggio non manca e che si può ripartire da qui: un ultimo giorno di scuola che sembra il primo.