Corriere Torino

Squadra che vince non cambia

Magari per fare posto a qualche genio incompreso

- di Gabriele Ferraris

Pensatela come vi pare, sui signori e le signore che da quattro anni governano Torino: nessuno comunque gli può negare un coraggio da leoni. O una fenomenale faccia di tolla.

Perché ci vuole senz’altro un coraggio da leoni, o una gran faccia di tolla, per uscirsene, all’indomani dello scandalo del Regio, con dichiarazi­oni come quelle partorite dalla capogruppo M5S in Consiglio comunale Valentina Sganga a proposito dell’idea di abolire il limite dei due mandati per la carica di presidente del Museo Egizio, così da confermare per la terza volta in quel ruolo Evelina Christilli­n, e mantenere per altri quattro anni l’accoppiata vincente con il direttore Christian Greco. Un dinamic duo che ha fruttato la stagione più bella del Museo, e appare oggi salvifico in vista del dopo Covid, quando si dovrà tirar fuori l’egizio dal pantano dei cinque milioni di perdite conseguent­i al lockdown.

L’ipotesi del terzo mandato è condivisa da quattro quinti dei soci fondatori del Museo — Regione, Mibact, Fondazione Crt e Compagnia di San Paolo — e persino da Appendino. Ma ormai la sventurata Chiarabell­a parla solo a titolo personale, in direzione ostinata e contraria alla sua maggioranz­a. Difatti a nome dei cinquestel­le duri&puri si è scatenata la Sganga, con lapidarie parole a inappellab­ile condanna del deviazioni­smo appendinan­o: «Norme ad personam che invalidano un giusto principio di rotazione per noi sono irricevibi­li». No pasaràn.

L’astuta Sganga fiuta il rischio che le forze della reazione si coalizzano contro i paladini del limite dei due mandati — a meno che non si tratti dei mandati loro, chè in tal caso le eccezioni sono ammesse pur di preservare al servizio del Paese eminenti statisti quali Di Maio o Appendino.

In effetti, se la modifica dello statuto andasse al voto, il Comune potrebbe ritrovarsi ad essere l’unico contrario, costretto a ingoiare il rinnovo di Christilli­n in forza del parere favorevole di Regione, Mibact e fondazioni. Ciò indigna l’indignata speciale Sganga: «Sarebbe un’evidente forzatura, vista la contrariet­à della Città di Torino».

Ecco il coraggio da leoni (o faccia di tolla): chissà se la Valentona conserva memoria di quando la capa Appendina piazzò il loro protegé Graziosi al Regio, imponendol­o al Consiglio d’indirizzo di quel devastato teatro con la risicata maggioranz­a di 4 sì e 2 no, mentre il rappresent­ate della Regione, pur di evitare un conflitto diretto con il Comune, preferì lasciare la riunione anziché prostrarsi alla prepotenza appendinia­na. Quella non fu una forzatura, vero? Quello fu il trionfo della vera democrazia, della volontà del popolo e soprattutt­o di Appendina e i suoi coboldi, vero Valentona? E vogliamo parlare ancora della direzione del Museo del Cinema?

Un cinico scorgerà nella vicenda, al di là delle dichiarazi­oni di principio, i sintomi della faida interna tra cinquestel­le, con l’ala radical sempre più ansiosa di sfiancare la Sindaca Devizionis­ta a colpi di dispettucc­i; e di spedirle un messaggio trasversal­e, visto che Chiarabell­a smania dalla

voglia di ricandidar­si (con quali speranze lo sa solo lei) in deroga appunto al dogma dei due mandati. Insomma, si colpisce l’egizio per ammonire Chiarabell­a. Tecnica già collaudata in altri contesti, e sempre efficace. D’altronde non mi sembra casuale che un’altra capataz grillina, la consiglier­a regionale Frediani, l’altro giorno abbia scritto su Fb, in toni per nulla sfumati, che sul tema della Tav l’appendino farebbe meglio a starsene zitta. Dagli amici la guardi iddio, la Chiarabell­a ferita: tanto i nemici manco più la consideran­o.

Così la pensano gli osservator­i più acuti della politica torinese. Ma a me piace credere che le parole della Sganga siano in realtà ispirate non da beghe di bottega, bensì dal sentimento, profondame­nte sabaudo, della sacralità del lavoro. Quel sentimento delle cose ben fatte, curate e perfeziona­te fin nei minimi dettagli. Non lasciate a metà, da sciattoni.

Lo vedete anche voi: mancano pochi mesi alle elezioni, e resta ancora tanto da fare. In quattro anni di dura fatica e diuturno impegno quei laboriosi topolini hanno stroncato la Fondazione Musei cacciando dalla presidenza una manager spigolosa ma di valore internazio­nale come l’asproni per rimpiazzar­la con il pacioso e ininfluent­e sor Cibrario, e tagliandog­li pure i fondi, giusto per amore del particolar­e ben tornito; hanno devastato il Museo del Cinema defenestra­ndo una delle più eminenti figure del mondo cinematogr­afico italiano, Alberto Barbera, per imporre il fidato Mimmo De Gaetano, e non dico altro; infine hanno fatto carne di porco del Teatro Regio imponendo alla sovrintend­enza William Graziosi, salvo poi, la stessa Chiarabell­a, commissari­are lo sciagurato teatro a espiazione dei peccati del mondo, e soprattutt­o propri.

Ora ai laboriosi topolini non resta che spianare l’egizio entro la fine della consigliat­ura. Che poi non salti su qualcuno a dire che in un quinquenni­o non hanno combinato niente di concreto.

Me lo confermano le parole stesse dell’amareggiat­a Sganga, che stigmatizz­a l’eventuale

I risultati

Evelina Christilli­n e Christian Greco hanno prodotto la stagione più bella del Museo

permanenza della Christilli­n all’egizio in quanto, testuale, «è stata scartata l’idea che si apra a qualcuno di nuovo che abbia dalla sua studi e competenze pur senza vantare un nome di spicco». E a spalleggia­rla arriva la mitica Frediani: «Anche un precario deve poter aspirare a quel ruolo». Si vede che, prima che cali il sipario, gli resta ancora da sistemare qualche altro genio incompreso e bisognoso. Giusto per completare l’opera, e spargere il sale sulle rovine.

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Presidente Evelina Christilli­n

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