Fratel Igino e la Villa che non vuole lasciare
Lì ha educato intere generazioni di torinesi. E ora vorrebbero mandarlo via
Esiste un luogo per molti magico, nella prima collina di Torino. Poco sopra la Gran Madre. Un edificio razionalista ospita il pensionato universitario Villa San Giuseppe. Era uno dei luoghi costruiti dai Fratelli delle Scuole Cristiane (gli stessi del liceo San Giuseppe a Torino, il De Merode a Roma, il Filippin a Paderno), per proseguire l’opera di formazione dei giovani iniziata da Giovan Battista De La Salle. La “Villa”, per semplicità. Un giorno di più di mezzo secolo fa, Fratel Igino Trisoglio, un giovane lassaliano sui generis, concreto quanto forte, determinato quanto visionario, decise di trasformare quel contenitore anonimo di studenti in una fucina di anime, di spirito, di valori, di pensiero, di amicizia. Ora la Villa è vuota. Quasi vuota. Perché c’è ancora Fratel Igino. Che non vuole saperne di andar via. Che non vuole credere che quel presidio di luce sia stato venduto che la “Sua Villa” stia per morire.
Esiste un luogo per molti magico, nella prima collina di Torino. Poco sopra la Gran Madre, con la vista su tutta la città, un edificio razionalista ospita il pensionato universitario Villa San Giuseppe. Era uno dei luoghi costruiti dai Fratelli delle Scuole Cristiane (gli stessi del liceo San Giuseppe a Torino, il De Merode a Roma, il Filippin a Paderno), per proseguire l’opera di formazione dei giovani iniziata da Giovan Battista De La Salle. La “Villa”, per semplicità, per pochi anni è stato un pensionato anonimo, frequentato da ragazzi che lo hanno usato come albergo, semplice punto di appoggio. Poi, un giorno di più di mezzo secolo fa, Fratel Igino Trisoglio, un giovane lassaliano sui generis, concreto quanto forte, determinato quando visionario, decise di trasformare quel contenitore anonimo di studenti in una fucina di anime, di spirito, di valori, di pensiero, di amicizia.
Era la fine degli anni ‘60 e mentre tutto intorno il mondo scopriva le rivolte studentesche, mentre iniziava la lenta decadenza delle università italiane trascinate verso il 18 politico, lui, da solo contro il mondo, iniziava il suo personale e solitario percorso di formazione umana. Decide che chi arriva in Villa non può limitarsi a studiare ed avere buoni voti, non basta. Pensate voi all’assurdità di dire a dei ragazzi, in tempi come quelli, che studiare ed avere buoni voti era necessario, per poter aver l’onore di soggiornare in quel pensionato, ma non sufficiente, perché una persona non si costruisce solo con lo studio e con i voti.
E quindi? Quindi i ragazzi (e anche le ragazze alle quali aprì con il tempo), dovevano fare attività sportiva, volontariato, preparare lezioni, incontrare relatori che ogni settimana proponevano riflessioni su temi vari, dimostrarsi vivi, attivi, propositivi! Per poter «plasmare» i 120 ospiti di quel luogo speciale, per imbrigliare l’energia e la gioventù che sprizzavano da ogni stanza, fissò regole durissime, scandì la vita della comunità attraverso appuntamenti obbligatori, distribuì responsabilità in qualche area a ognuno, offrì spunti, richiese partecipazione. Regole che lo obbligavano a scontrarsi quotidianamente con la naturale volontà di non rispettarle o disattenderle, con la necessità giovanile di trasgredire. Ed in questa lotta che avveniva ogni giorno, in questo braccio di ferro continuo tra la gioventù che cercava la sua strada e la mano ferma di un controllore illuminato e saggio, si formavano uomini e donne. Si formavano persone, unite tra di loro proprio dal fatto di condividere anche la contrapposizione costante con la regola di colui che la faceva rispettare, Fratel Igino. Lui amava la forza creatrice di questo scontro tra energie, sapeva quali erano gli effetti positivi che il contrasto poteva creare.
I ragazzi no, ma lo capivano qualche anno dopo. La sera non si poteva uscire e si doveva rientrare in camera entro le 21. Chi usciva lo faceva a proprio rischio e pericolo e trovava sempre, che fossero le 2 o le 5 del mattino, Igino seduto nel buio ad attenderlo. Il lunedì sera si alternavano relatori di alto livello, su ogni tipo di argomento. Poteva non interessarti, potevi pensare ad altro, ma dovevi esserci. Non c’erano scuse. Il martedì al suono del Guglielmo Tell di Rossini, cascasse il mondo, alle 19.15 ci si trovava per la riunione settimanale. Molto più che obbligatoria: tappa fondamentale per l’aggiornamento sulle mille attività in corso. C’erano tornei sportivi, dal ping-pong al calcetto, dal calcio alla pallavolo. Potevi essere l’uomo o la donna più refrattaria allo sport, ma dovevi partecipare. Altrimenti saresti diventato un “paracarro”: bravissimo a fare il tuo mestiere, solo quello, sempre quello, fermo, immobile, insensibile ad ogni altro stimolo. Lui lottava perché i ragazzi non diventassero paracarri; il suo peggiore incubo era vedere giovani omologati, assoggettati alle mode, al pensiero di massa, senza coscienza critica. Voleva che ognuno scoprisse le sue potenzialità, che nessuno si negasse di aspirare a qualcosa di importante.
Alla fine del percorso uscivano persone diverse ma unite da qualcosa che li avrebbe accompagnati per tutta la vita: la Villa e Fratel Igino. Potrei riempire ogni pagina di questo quotidiano, raccontando aneddoti e storie, potrei citare centinaia di presenze illustri come relatori, da Pininfarina a Scalfaro, da Agnelli a Dulbecco, da Goria a C.A. Dalla Chiesa ma toccherei solo gli animi di chi ha vissuto l’esperienza. Lo scopo di queste righe è un altro. Quello di raccontare al mondo di Fratel Igino, del suo sogno, dell’attualità della sua visione. Quella di raccontare che quell’uomo è ancora lì, nella stessa stanza nella quale arrivò più di 50 anni fa. Ha visto passare migliaia di giovani ed ha la bellezza di 94 anni. La Villa ora è stata venduta e dovranno essere fatti degli appartamenti di lusso. Il 2020 è stato l’ultimo anno in cui quelle mura hanno ospitato dei ragazzi. Ora la Villa è vuota.
Quasi vuota. Perché alla stanza 202 c’è ancora e sempre Fratel Igino. Che non vuole saperne di andar via. Che non vuole credere che quel presidio di luce sia stato venduto che la “Sua Villa” stia per morire. Ed allora tutti coloro che lo hanno conosciuto e che hanno passato in quel luogo la loro gioventù universitaria, passano da lui, cercano di convincerlo, di spiegargli che nulla è finito, che lui deve capire che dovrà andare in pensione, dovrà staccarsi da un luogo fisico sapendo che ciò che ha seminato è nei cuori di migliaia di persone.
Centinaia di ex ragazzi, ora settantenni, sessantenni, cinquantenni, quarantenni, si sono cercati tra di loro, in giro per l’italia ed il mondo, perché il loro Igino ha bisogno di loro. Io sono uno di quelli, come lo è John Elkan, per fare un nome che a Torino ha un peso. E centinaia di altre persone.
Perché l’ho scritto? Perché oggi, quando un amico che non sentivo da oltre vent’anni mi ha chiamato per dirmi questa cosa, ho pensato fosse mio dovere raccontare un pezzo di questa storia a chi altrimenti non l’avrebbe mai conosciuta. Volevo, in un momento di buio, parlare di una persona che è stata, per molti, luce. Perché, come mi ha ripetuto mille volte Fratel Igino, «è meglio accendere un cerino che continuare ad imprecare contro le tenebre, con le mani in tasca».
❞ Il suo motto È meglio accendere un cerino che continuare ad imprecare contro le tenebre, con le mani in tasca