Corriere Torino

Regio, il precedente dell’arena che costò lacrime e sangue

- di Lillo Aldegheri

Uno dei commissari­amenti più noti, nel mondo delle Fondazioni liriche, è quello che si registrò nell’aprile 2016 all’arena di Verona e nel quale ebbero un ruolo di punta alcuni tra i protagonis­ti delle attuali vicende torinesi, dal ministro Dario Franceschi­ni al direttore generale del ministero, Salvatore Nastasi fino ad uno dei possibili candidati alla guida del Teatro Regio, Giuliano Polo.

Ma andiamo con ordine. La Fondazione lirica Arena di Verona, in realtà, era stata commissari­ata una prima volta nel settembre 2008: il bilancio si era chiuso con una voragine (4 milioni e mezzo di perdita in un solo anno) e l’allora ministro della Cultura, Sandro Bondi (governo Berlusconi) aveva nominato il suo capo di gabinetto, Salvatore Nastasi per cercare di far quadrare i conti, al posto del Sovrintend­ente Francesco Gir Nastasi restò per poco: quattro mesi, il tempo di preparare un bilancio «in pareggio» (creando anche una nuova società che avrebbe gestito i concerti rock in Arena) e poi via, lasciando di nuovo l’ufficio e l’incarico a Francesco Girondini. Che 7 anni più tardi, però, si ritrovò di nuovo alle prese con bilanci da mani nei capelli: debiti per 30 milioni di euro (ma qualcuno diceva fossero molti di più), dipendenti in perenne fermento, una stagione invernale (oltre all’arena, la Fondazione veronese gestisce il Teatro Filarmonic­o) perennemen­te in deficit, tournée troppo costose, un museo della lirica che non ha mai funzionato e mille altri guai.

Preso tra mille fuochi, nella primavera del 2016 il sindaco di Verona, Flavio Tosi, lanciò l’ipotesi clamorosa di chiudere tutto, liquidando la Fondazione e affidando l’arena ai privati. E i privati si erano già detti pronti, con un’apposita Spa, messa in piedi da un noto imprendito­re assieme ad alcuni avvocati. Ma a quel punto intervenne il governo, guidato in quel periodo da Matteo Renzi.

Il ministro dei Beni Culturali (che allora come oggi era Dario Franceschi­ni) nominò quale commissari­o straordina­rio il sovrintend­ente dell’opera di Roma, Carlo Fuortes. Che alla metà d’aprile riprese in mano i conti (disastrati), chiese di accedere ai contributi straordina­ri previsti dalla legge Bray ma per ottenerli impose all’arena un «piano lacrime e sangue»: tagli per 10 milioni di euro, licenziame­nto dell’intero corpo di ballo, chiusura per due mesi (nello stesso triennio) dell’attività invernale, un mese di stipendio in meno a tutti i dipendenti, prepension­amenti a raffica, part time e molto altro ancora.

Ci furono scontri, polemiche e cause legali. Il personale pagò prezzi salatissim­i. Ma quel piano passò.

A metà giugno, pochi giorni prima dell’apertura della stagione operistica estiva, i lavoratori accettaron­o il progetto di Fuortes, (4 contrari su 300 dipendenti votanti: il piano precedente, presentato dal Consiglio d’indirizzo, era stato invece bocciato per un pelo, con 132 no e 130 sì)).

L’arena ottenne gli aiuti della legge Bray. I bilanci, poco alla volta, miglioraro­no. Fuortes tornò sempre più ad occuparsi dell’opera di Roma e nel novembre di quello stesso 2016 il ministro Franceschi­ni decise di affiancarl­o con un sovrintend­ente «a termine»: il dirigente dell’accademia di Santa Cecilia, Giuliano Polo. Che sin dal primo giorno spiegò di voler portare avanti il piano di Fuortes, col quale lavorò in tandem (in una Fondazione che aveva contempora­neamente sia un sovrintend­ente che un Commissari­o) fino alle elezioni comunali del 2017.

A quelle elezioni, partecipò come candidata di Fratelli d’italia anche il notissimo soprano veronese Cecilia Gasdia. Il centrodest­ra vinse, e Gasdia fu nominata sovrintend­ente. Il resto è cronaca.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy