Corriere Torino

«Scrivo storie da incubo ma fa più paura l’ikea» Il mio lavoro al tempio crematorio è lo spunto, ma è l’allegoria ad avere un ruolo fondamenta­le

Il torinese Ade Zeno è nella cinquina del Campiello «Finalista con Guccini, spero di uscirci a cena»

- Alessandro Chetta

Ade Zeno è nom de plume. Meglio preservare l’identità di questo 41enne torinese che oltre a scrivere — il suo L’incanto del pesce luna (Bollati Boringhier­i) è finalista al Campiello — lavora come Cerimonier­e al Tempio crematorio. In tragici tempi di Covid potrebbero arrivare pressioni per dedicare ai propri cari un funerale meno distanziat­o.

«Sì, faccio un lavoro un po’ particolar­e, anche se non c’entra con l’adozione dello pseudonimo. Ed è anche vero che durante il lockdown lo stress è aumentato parecchio. Presenzio il rito laico a Torino, provo a dare un conforto usando le parole giuste, ma negli ultimi tre mesi il dolore dei congiunti spesso era inimmagina­bile. Tanti chiedevano invano di poter vedere il papà e la mamma un’ultima volta, visto che erano morti soli in ospedale, magari a pochi giorni l’uno dall’altra. Anche il numero delle funzioni è cresciuto a dismisura, non più nella sala ma all’esterno e con poche persone».

Gonzalo, il protagonis­ta del libro fa il suo stesso mestiere «particolar­e» e un altro paio di cosucce. Il romanzo è approdato nella Cinquina. Felice?

«Moltissimo. Il mio agente

Leonardo Luccone mi ha chiamato ieri (lunedì, ndr) per dirmelo; gli sono grato perché costante è stata la sua attenzione ad ogni pagina. Direi che è stata comunque una sorpresa perché il libro anche se leggibile può suonare disturbant­e, pone dei problemi, immerge i lettori in una realtà cupa. Un grazie lo devo anche ad Andrea Bajani che l’ha scelto; l’ho sentito, era contentiss­imo. Tutta questa attenzione però mi spaventa, sono un po’ orso, sempre lontano di riflettori».

Tra gli altri finalisti c’è Guccini.

«Bello essere in concorso con lui. Spero, chissà, di riuscire ad andarci a cena!».

Non si può sbrigativa­mente etichettar­e come storia autobiogra­fica. Anche perché si parla pure di cannibali. A meno che lei...

«No, non frequento cannibali (ride). Il mestiere al Tempio

crematorio è solo lo spunto. Piuttosto, nelle parti più cruente veste un ruolo fondamenta­le l’allegoria. Simboleggi­a il mostro che siamo dentro, la nostra metà, anzi i nostri tre quarti oscuri. Inoltre, la bambina in coma, altro tema portante del libro, serve al protagonis­ta per giustifica­re azioni terribili compiute in nome dell’amore. Per cui si autoassolv­e. Delitto senza castigo. L’amore è la parte folle che allontana tutta la morte che c’è intorno».

«Se l’ammore è ‘o contrario da’ ‘a morte» cantava Sergio Bruni.

«È vero; ma è pure innegabile che l’amore richieda sempre una forma di sacrificio, non è mai puro in sé, non esiste senza un tributo di dolore».

Habitat e personaggi perturbant­i: Lucio Fulci ci avrebbe fatto un film.

«Tanti lo classifica­no horror ma non è una definizion­e troppo esatta. Preferisco grottesco perché la realtà è filtrata da una lente deformante. Non mi soffermo mai su scene splatter, resto più allusivo, per farle vedere meglio. Molti lettori condividon­o questa idea».

Le scrivono i lettori?

«Su Facebook, non sono un tipo difficile da rintraccia­re. Si dimostrano sempre affettuosi e interessat­i. Mi ha scritto anche un prete, di cui ora non ricordo il nome. Nonostante nel romanzo dichiari il mio ateismo, lui invece ci ha ritrovato una dimensione religiosa».

Al contrario di penne (Postorino, Auci) concentrat­e più che altro a far filare una storia, lei sembra attento allo stile. Alcuni passaggi ricordano Michele Mari.

«Forse per le atmosfere di Euridice aveva un cane ; è un paragone bello ma quasi irriverent­e. Ammiro Mari, un maestro. Fa un lavoro certosino sulla lingua che non mi appartiene, però il discorso sullo stile ci sta. La ricerca formale sulla frase».

Passeggia spesso al Monumental­e?

«Certo, lo considero un luogo non religioso ma di riflession­e; mette una tranquilli­tà malinconic­a. Mi piacerebbe che le scolaresch­e fossero invitate a passeggiar­vi».

Nel libro rappresent­a un inferno celato. Quale luogo di Torino la impaurisce?

«Ah, per me l’inferno è l’ikea. Se penso ad un incubo mi vengono in mente luoghi affollati di gente e merci».

Quindi in questo momento si trova in un posto agli antipodi?

«Esatto. A Cesana, in Alta Val Susa, per festeggiar­e mio papà Mattia. Compie 70 anni».

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L’incanto del pesce luna di Ade Zeno (Bollati Boringhier­i) è stato selezionat­o nella cinquina del Premio Campiello e ora sarà sottoposto ai 300 lettori della giuria popolare
In lizza L’incanto del pesce luna di Ade Zeno (Bollati Boringhier­i) è stato selezionat­o nella cinquina del Premio Campiello e ora sarà sottoposto ai 300 lettori della giuria popolare

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