«Scrivo storie da incubo ma fa più paura l’ikea» Il mio lavoro al tempio crematorio è lo spunto, ma è l’allegoria ad avere un ruolo fondamentale
Il torinese Ade Zeno è nella cinquina del Campiello «Finalista con Guccini, spero di uscirci a cena»
Ade Zeno è nom de plume. Meglio preservare l’identità di questo 41enne torinese che oltre a scrivere — il suo L’incanto del pesce luna (Bollati Boringhieri) è finalista al Campiello — lavora come Cerimoniere al Tempio crematorio. In tragici tempi di Covid potrebbero arrivare pressioni per dedicare ai propri cari un funerale meno distanziato.
«Sì, faccio un lavoro un po’ particolare, anche se non c’entra con l’adozione dello pseudonimo. Ed è anche vero che durante il lockdown lo stress è aumentato parecchio. Presenzio il rito laico a Torino, provo a dare un conforto usando le parole giuste, ma negli ultimi tre mesi il dolore dei congiunti spesso era inimmaginabile. Tanti chiedevano invano di poter vedere il papà e la mamma un’ultima volta, visto che erano morti soli in ospedale, magari a pochi giorni l’uno dall’altra. Anche il numero delle funzioni è cresciuto a dismisura, non più nella sala ma all’esterno e con poche persone».
Gonzalo, il protagonista del libro fa il suo stesso mestiere «particolare» e un altro paio di cosucce. Il romanzo è approdato nella Cinquina. Felice?
«Moltissimo. Il mio agente
Leonardo Luccone mi ha chiamato ieri (lunedì, ndr) per dirmelo; gli sono grato perché costante è stata la sua attenzione ad ogni pagina. Direi che è stata comunque una sorpresa perché il libro anche se leggibile può suonare disturbante, pone dei problemi, immerge i lettori in una realtà cupa. Un grazie lo devo anche ad Andrea Bajani che l’ha scelto; l’ho sentito, era contentissimo. Tutta questa attenzione però mi spaventa, sono un po’ orso, sempre lontano di riflettori».
Tra gli altri finalisti c’è Guccini.
«Bello essere in concorso con lui. Spero, chissà, di riuscire ad andarci a cena!».
Non si può sbrigativamente etichettare come storia autobiografica. Anche perché si parla pure di cannibali. A meno che lei...
«No, non frequento cannibali (ride). Il mestiere al Tempio
crematorio è solo lo spunto. Piuttosto, nelle parti più cruente veste un ruolo fondamentale l’allegoria. Simboleggia il mostro che siamo dentro, la nostra metà, anzi i nostri tre quarti oscuri. Inoltre, la bambina in coma, altro tema portante del libro, serve al protagonista per giustificare azioni terribili compiute in nome dell’amore. Per cui si autoassolve. Delitto senza castigo. L’amore è la parte folle che allontana tutta la morte che c’è intorno».
«Se l’ammore è ‘o contrario da’ ‘a morte» cantava Sergio Bruni.
«È vero; ma è pure innegabile che l’amore richieda sempre una forma di sacrificio, non è mai puro in sé, non esiste senza un tributo di dolore».
Habitat e personaggi perturbanti: Lucio Fulci ci avrebbe fatto un film.
«Tanti lo classificano horror ma non è una definizione troppo esatta. Preferisco grottesco perché la realtà è filtrata da una lente deformante. Non mi soffermo mai su scene splatter, resto più allusivo, per farle vedere meglio. Molti lettori condividono questa idea».
Le scrivono i lettori?
«Su Facebook, non sono un tipo difficile da rintracciare. Si dimostrano sempre affettuosi e interessati. Mi ha scritto anche un prete, di cui ora non ricordo il nome. Nonostante nel romanzo dichiari il mio ateismo, lui invece ci ha ritrovato una dimensione religiosa».
Al contrario di penne (Postorino, Auci) concentrate più che altro a far filare una storia, lei sembra attento allo stile. Alcuni passaggi ricordano Michele Mari.
«Forse per le atmosfere di Euridice aveva un cane ; è un paragone bello ma quasi irriverente. Ammiro Mari, un maestro. Fa un lavoro certosino sulla lingua che non mi appartiene, però il discorso sullo stile ci sta. La ricerca formale sulla frase».
Passeggia spesso al Monumentale?
«Certo, lo considero un luogo non religioso ma di riflessione; mette una tranquillità malinconica. Mi piacerebbe che le scolaresche fossero invitate a passeggiarvi».
Nel libro rappresenta un inferno celato. Quale luogo di Torino la impaurisce?
«Ah, per me l’inferno è l’ikea. Se penso ad un incubo mi vengono in mente luoghi affollati di gente e merci».
Quindi in questo momento si trova in un posto agli antipodi?
«Esatto. A Cesana, in Alta Val Susa, per festeggiare mio papà Mattia. Compie 70 anni».