Corriere Torino

«Said non ha rimorsi per il delitto di Leo»

- Di Simona Lorenzetti

«Dopo l’omicidio le voci sono scomparse? Si è sentito appagato?». «No, le voci non sono scomparse purtroppo. Ma è finito il desiderio di uccidere me stesso». È il 29 gennaio del 2020. Said Mechaquat, il 28enne di origini maghrebine accusato del delitto di Stefano Leo, ha di fronte a sé il professor Franco Freilone e il dottor Maurizio Desana. I due periti sono stati incaricati dal gip Irene Gallesio di valutare il suo stato di salute mentale la mattina del 23 febbraio del 2019, quando uccise con un solo fendente alla gola il 33enne commesso di Biella. «In quel momento mi sentii meglio, perché alla natura avevo dato una lezione», aggiunge l’assassino.

Nelle settimane scorse gli esperti hanno depositato la perizia che verrà discussa il prossimo 18 giugno, durante il processo in abbreviato. E nella quale chiariscon­o che Mechaquat era in grado di intendere e di volere al momento dell’omicidio. Nelle conclusion­i, gli esperti rimarcano «la grave anaffettiv­ità» di Said «che emerge soprattutt­o nei confronti del fatto, rispetto al quale non vi è mai una espression­e di pentimento o quantomeno di partecipaz­ione emotiva». Non solo. «Non vi è rimorso — si legge nel documento —, ma il periziando sembra disinteres­sato e indifferen­te alla gravità dell’evento che descrive in modo distaccato e freddo». Nella ricostruzi­one di Said, l’omicidio «viene “derubricat­o” a un gesto impulsivo la cui responsabi­lità ricade genericame­nte su delle vaghe “voci” e in misura minore sulla frustrazio­ne che ha accompagna­to gli ultimi due anni», scanditi dalla perdita del lavoro, della casa e della famiglia. L’unico passaggio sulla gravità dell’episodio è circoscrit­to alle conseguenz­e subite, «una cosa abbastanza grave che mi ha cambiato la vita». Nei tre lunghi colloqui con i periti, Said fa riferiment­o ai sussurri che sentiva e che «lo prendevano in giro»: avevano il timbro di voce di Gerry Scotti. Ma in realtà a parlare erano persone del suo passato: la madre, il nuovo compagno di lei, l’ex fidanzata. Voci che lo tormentava­no e che per lui rappresent­avano la natura. Nel ricordare il giorno dell’omicidio ai Murazzi, l’uomo spiega di essersi svegliato stanco come se non avesse dormito. «Mi sedetti sulla seconda panchina — racconta Said —. Pensavo al rumore del fiume, lì è molto forte perché c’è una mini cascata. Stavo ascoltando i rumori naturali quindi mi stavo riprendend­o, poi dopo un po’ ho cominciato di nuovo a sentire le voci. Perché la natura mi sta facendo questo? Mi sono guardato attorno e ho detto: vuoi vedere adesso cosa faccio? Vuoi vedere che al posto mio adesso ti muore qualcun altro? L’hai fatto tu il conteggio? Ti faccio capire che il conteggio è sbagliato». Said uccide Stefano, perché è giovane e italiano. Sicuro che il delitto avrebbe fatto scalpore. Come se non bastasse, concludono i periti, il 28enne sceglie un luogo «simbolico» dove agire: lì vicino, infatti, vivono il figlio con l’ex fidanzata e il suo nuovo compagno.

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