Burzio, scienziato poeta e giornalista
Un documentario sull’intellettuale di Lorenzo Gambarotta con il padre Bruno
«Piemontese di cuore, stavo per dire di visceri, se pure di testa, cosmopolita». La definizione con cui Norberto Bobbio descrisse Filippo Burzio spiega bene quanto lo studioso fosse legato alla sua terra in termini di sentimento, pensiero ed estrazione politica. E per Burzio stesso, la realtà culturale torinese tra gli Anni 20 e 30 non poteva essere più stimolante e seminale. Giornalista e scienziato che sognava di fare il poeta, l’intellettuale è al centro di un nuovo documentario realizzato da Lorenzo Gambarotta, in cui compare anche il padre Bruno. Il video di venti minuti è stato commissionato dalla Fondazione Burzio, presieduta da Alberto Sinigaglia, e ripercorre l’intera vita del torinese. Dagli studi scientifici che lo portarono a insegnare Balistica all’accademia Militare, fino alla direzione della Stampa. Passando per l’elaborazione della dottrina del Demiurgo.
«Piemontese di cuore, stavo per dire di visceri, se pure di testa, cosmopolita». La definizione con cui Norberto Bobbio descrisse Filippo Burzio spiega bene quanto lo studioso fosse legato alla sua terra in termini di sentimento, pensiero ed estrazione politica. E per Burzio stesso, la realtà culturale torinese tra gli anni 20 e 30 non poteva essere più stimolante e seminale; specie per le sue frequentazioni dei più importanti intellettuali dell’epoca, come Vilfredo Pareto di cui fu studente e Piero Gobetti con cui collaborò a La rivoluzione Liberale fin dalla sua fondazione nel 1922.
Lorenzo Gambarotta, con un documentario commissionatogli dalla Fondazione Filippo Burzio, introduce la figura di un personaggio cui confessa di essersi avvicinato con circospezione e rispetto. «Era un ragazzo che sognava di fare il poeta ma che finì per fare lo scienziato; questo non gli impedì di diventare un letterato, filosofo e anche giornalista, per due volte alla direzione de La Stampa, riconoscimenti che si aggiunsero ai successi nei suoi studi tecnico-scientifici».
Continua il regista: «Alberto Sinigaglia, presidente della
Fondazione, mi ha contattato per realizzare un video introduttivo dei prossimi convegni. La figura di Burzio, collocata in luoghi distrutti dai bombardamenti e caratterizzata da un pensiero articolato e complesso, andava raccontata in appena 20 minuti. Così, ho identificato un filo rosso composto di quella tipica piemontesità intrisa di coerenza e rigore, e ne ho estratto alcune delle tappe della sua biografia. Poi ho deciso di affidare a mio padre, Bruno, il ruolo di narratore».
Bruno Gambarotta non ha esitazioni: «Era un vero antifascista. Dopo il rifiuto della tessera, lo ribadì nel 1925 firmando il manifesto di Croce; ma le sue posizioni non lo fecero sottrarre dai suoi doveri patriottici e fu solo per un difetto cardiaco che non prese parte alla Grande Guerra». I valori liberali di Torino, città della grande industria, operaia e dalla formazione militare di stampo sabaudo, erano il terreno più adatto per elaborare il suo pensiero. «È in questo contesto — prosegue lo scrittore — che nasce il tema del Demiurgo, il più dibattuto, oscuro e contraddittorio, ma anche il più intrigante». La figura del governatoredemiurgo, «uomo in carne e ossa» che modera le passioni, se ne distacca e agisce secondo i principi di universalità, non poteva che portare a speculazioni interpretative senza fine, «ma di certo era mosso da un senso di moderazione ed equidistanza in tempi disordinati e complessi; una sintesi forse utopica e per certi versi semplicistica, ma dotata di sincero trasporto tanto che fu concepita già in età giovanile. Insomma, quella figura elitaria ma ben lontana dal superuomo, diventò la sua ossessione».
C’è un altro aspetto che definisce la poliedricità di Filippo Burzio e risale agli studi impostigli dal padre. Vittorio Marchis, professore di Ingegneria Meccanica e Aerospaziale al Politecnico di Torino ne descrive l’anima scientifica: «Nel 1914 diventò assistente di Modesto Panetti ed entrò nel suo laboratorio di Aeronautica, il primo in Italia, dove iniziò i suoi studi nel campo della Balistica Esterna. Quella carriera che gli era impossibile al Politecnico, gli si aprì invece all’accademia Militare perché l’esercito non era tenuto a giurare fedeltà al Duce, ma solo al Re». E sarà proprio nella sua attività di ricerca che Burzio raggiungerà prestigiosi risultati. «Resistenza dell’aria, profili alari, rotazione e aumento della stabilità del proiettile: furono questi alcuni dei campi di studio dello scienziato torinese che aveva perfezionato il “maneggio”, un macchinario dotato di una pala rotante cui si applicava un proiettile forato in più punti per calcolarne i coefficienti di pressione su di esso».
Scriveva Filippo Burzio: «C’è nel torinese un senso del dovere commisto al piacere dell’utile, nessun furore ideologico, nessun abbandono, nessun eroismo ascetico». Forse fu proprio questo suo raro impasto di competenze e analitico distacco che lo rese artefice del proprio destino, reale e tangibile demiurgo di sé.