«L’amore per il Barolo mi ha cambiato la vita»
Esce oggi il libro della blogger The Italian Wine Girl L’autrice Donadoni lo presenta online con Farinetti
Come da una vicenda infamante si passa dall’essere direttore della Voce di Bergamo, giornalista e moglie realizzata di un assessore della propria città a perdere tutto (compresi casa e risparmi), andarsene dal proprio paese e diventare, non senza lanciare prima il cuore oltre l’ostacolo, The Italian Wine Girl (il nome del suo seguitissimo blog) . È questa la storia di Laura Donadoni che presenterà oggi alle 18.30, sul canale Facebook di @fontanafreddaitalia in conversazione con Oscar Farinetti e Ampelio Bucci, il suo ultimo libro Come il vino ti cambia la vita in cui narra le vicende di sei imprenditori ai quali il nettare di Bacco ha rivoluzionato profondamente (e positivamente) le esistenze.
Come il vino ha cambiato la sua di vita?
«Qualche anno fa mio marito, Marcello Moro, è stato vittima di un vicenda giudiziaria, dalla quale poi è stato completamente prosciolto, orrenda. Ci portarono via tutto: casa, lavoro, sequestrarono anche i beni di mia suocera. Decidemmo insieme di non farci sopraffare ma di rilanciare sulle nostre passioni. Eravamo da sempre innamorati degli Stati Uniti e andammo in California che, sia per clima che per qualità di vita, ci sembrava il luogo più simile all’italia. Viviamo a San Diego». Come andò? «Incredibilmente bene. Forse non tutti sanno che ogni anno vengono messe in palio delle green card con una lotteria. Noi le vincemmo. Lui aveva il pallino degli elicotteri ed è riuscito a mettere su due accademie di aviazione. Io mi sono barcamenata per un po’ a fare di tutto, dalla cameriera a vendere abiti da sposa. Non ho mai avuto alcun dubbio su mio marito né la mia stima è vacillata, l’ho sostenuto nei suoi sogni. Poi lui ha fatto lo stesso con me».
E il vino?
«Il vino è come un elastico che mi ha riportato indietro alla mia terra. Non avevo nulla cui aggrapparmi, solo le mie passioni. Sono una giornalista e il vino è nel dna della mia famiglia, poche vigne da cui produciamo altrettanto poco vino per noi. Mi sono sentita orgogliosa di essere italiana e ho iniziato a comunicare bene i nostri prodotti. Gli americani ci adorano. Ho aperto una mia agenzia di comunicazione e oggi ho una community su Instagram di quasi 50 mila persone. Il mio blog è stato premiato tra i migliori 50 in Usa».
In California si produce vino, com’è?
«Stanno migliorando. Per loro è ancora tutto nuovo, che da un lato è negativo ma dall’altro non hanno le briglie Docg e Doc
che abbiamo qui e alcuni esperimenti riescono proprio bene. I vini migliori sono quelli dell’oregon. Come Farinetti credo nel pensare locale e agire globale. È questo il Rinascimento italiano di oggi: valorizzare il territorio e tradurlo al mondo. Troppi ancora seguono le mode ma rispettare, per esempio, i vitigni autoctoni, è l’unica strategia per rendere solido questo Paese e lasciare un’eredità alle generazioni future. Il Barolo non lo puoi delocalizzare».
A cosa si deve il successo dei vini piemontesi in Usa?
«Sono un’appassionata di Langhe e quando vivevamo in Italia i nostri week end enogastronomici erano lì. Il Consorzio è stato criticato per aver speso molto per una pubblicità luminosa in Times Square per la presentazione dei vini. Ma in Usa funziona così e sono stati bravissimi, un esempio. Adoro il Ruchè e ne ho organizzato diverse presentazioni. È un vino che ti strega: femminile, profumato, floreale. Ed è perfetto in abbinamento con i cibi etnici e asiatici che negli States si mangiano regolarmente».
Farinetti nella prefazione vi ha dedicato la parola «Restanza».
«Quando ricevetti la sua mail eravamo in macchina e la lessi ad alta voce. Mi vennero le lacrime. Lui non poteva sapere che il nostro più grande desiderio è quello di tornare. Anche se abbiamo sofferto tanto e anche se i nostri lavori in Usa non li lasceremmo. In questo l’italia non è giusta. Ma davvero il vino è come un elastico: puoi correre lontano ma il cordone ombelicale ti riporta sempre a casa».
Una passione nata durante i weekend nelle Langhe Poi la fuga a San Diego