Corriere Torino

Le cene gourmet a domicilio «Il cliente è il mio sous chef» Alessandro Mecca cucina nelle case dei torinesi. E c’è chi fa la spesa con lui

- Simona De Ciero

Sicurezza, fantasia, dehors. Sono le parole chiave con cui il mondo dell’enogastron­omia ha affrontato i tre mesi di lockdown. E con cui sta affrontand­o anche la ripartenza. Alcuni ristoranti sono rimasti chiusi, altri invece hanno testato nuove formule da proporre. Come il delivery con rigenerazi­one parziale dei prodotti, o l’asporto. I protagonis­ti del food si sono reinventat­i, complici le nuove regole sul distanziam­ento fisico da imporre ai clienti con la riapertura dei locali. Fra le tante idee originali c’è #Spazio7aca­satua di Alessandro Mecca, chef del ristorante della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Che da qualche giorno va a casa delle persone per condivider­e con loro l’esperienza del ristorante gastronomi­co, sviluppare insieme l’idea del menu, l’uso degli ingredient­i e gli abbinament­i dei piatti.

Chef, dove nasce l’idea di cucinare a casa delle persone?

«Durante il lockdown preparavo

● Spazio7 è un ristorante pensato per appagare i sensi dei suoi ospiti attraverso la contaminaz­ion e tra arte e cucina.

I piatti dello chef Alessandro Mecca sono a Torino, in via Modane 20 piatti nella cucina di casa mia e ho messo qualche ricetta su facebook e instagram. Portate semplici tipo risotto, ragù, cacio e pepe. Ha funzionato tantissimo, perché la gente mi scriveva in privato ed era curiosa. Volevano sapere e condivider­e i loro esperiment­i. E mi hanno dato l’idea di replicare la cosa “in presenza”, come si dice adesso».

Perché non ha tentato di lavorare in formula asporto e delivery nei mesi scorsi?

«Sono convinto che l’unico modo per proporre questi servizi in maniera strutturat­a ed efficace sia avere un laboratori­o. Perciò ho preferito fermare il ristorante, dedicarmi al volontaria­to e aspettare di poter riaprire».

Quante cene a casa delle persone ha già preparato?

«Una decina».

Che tipo di clientela le richiede il servizio?

«Per ora persone affezionat­e ai nostri menu e già clienti di Spazio7. Un target medioalto abituato alla cucina gastronomi­ca di un ristorante stellato».

Ma…

«L’ambizione è di essere cercati anche da nuovi clienti, che magari non se la sentono ancora di uscire o non possono farlo; o da persone che vogliono festeggiar­e un anniversar­io con una cena gourmet a quattro mani».

La gente partecipa attivament­e?

«Eccome. Scegliamo insieme il menu e, chi lo desidera, viene con me a fare la spesa. Altrimenti ci penso io. Poi cuciniamo a quattro mani e il committent­e diventa il mio sous chef. Non è un catering, ma un’esperienza».

Quanto costa?

«Tra i centocinqu­anta e i duecento euro a testa (spesa inclusa); dipende dal menu che si sceglie, dalla necessità (o meno) di essere accompagna­to da una parte dello staff di cucina o di sala».

Quando cucina per gli altri, rivela anche i suoi segreti?

«Si, e ne svelo uno anche ai lettori del Corriere. Non esistono segreti ai fornelli. L’unica arte è il tempo, insieme ai gesti. Capire quando è il momento di mettere il basilico, di togliere l’aglio, di spegnere il fuoco».

E qual è il trucco per rimettere in sesto la ristorazio­ne?

«Non farsi prendere dall’ansia, che porta a scelte affrettate. Come fu per alcuni durante i mondiali del 1990».

Cioè?

«Fu l’anno in cui, attraverso la liberalizz­azione delle licenze, i bar iniziarono a servire i pasti. La gente smise di fare pranzo nei ristoranti. Sembrava la fine del nostro settore».

E invece?

«Il cambiament­o portò un’evoluzione sostanzial­e della cucina. Mi auguro accada anche stavolta».

● Montasso 2015 è un Albugnano doc Superiore di Casa Calcagni. Un’antica tenuta che appartiene alla famiglia da 200 anni. Un piccolo vigneto che si affaccia sull’antico sentiero che collega il borgo di Albugnano (Asti) con l’abbazia medievale di Santa Maria di Vezzolano. Prodotto con uva Nebbiolo coltivata su un terreno bianco gessoso nel rispetto dell’ambiente e una resa molto bassa. Le uve vengono raccolte a mano e selezionat­e prima della vinificazi­one. Riposa almeno 24 mesi in botti di rovere. Nel bicchiere l’eleganza e la magia del Monferrato, dai sentori interessan­ti con note di sottobosco a cui si aggiungono i ritorni varietali di viola. È una delle aziende fondatrici dell’associazio ne Albugnano 549, nata per promuovere l’identità enologica, storica, culturale e ambientale dell’albugnano doc. Prezzo 24 euro.

● Ora che è di nuovo possibile muoversi per una gita fuoriporta, vale una puntatina il birrificio Alpino all’ingresso della Val Chisone: dove una volta c’era il cotonifici­o Wideman, ora riconverti­to in location per attività artigianal­i. Nata nel 2010 dalla profonda passione di un gruppo di amici, oggi i soci sono tre: Nic, Max e Massimo. L’azienda, con un impianto ungherese da dodici ettolitri, produce e vende birre tutto l’anno. Fra le varie etichette c’è la Lingero, una Strong Ale, bionda doppio malto dalla struttura complessa. Molto presenti i malti all’assaggio, che si neutralizz­ano grazie al contrasto con i luppoli ed erbe alpine infuse: Serpoul e Genepy (Thymus serpyllum e Artemisia umbrellifo­rmis) provenient­i dalla fattoria Pian dell’alpe, a 2 mila metri. Dall’approccio apparentem­en te leggero, in realtà conta sette gradi e mezzo di alcol. Da non sottovalut­are.

«Prepariamo i piatti a quattro mani Non è un catering, ma un’esperienza»

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