«Nelle Rsa vogliamo medici e infermieri» La richiesta dei sindacati
Guidotti (Cisl): «La strage si poteva evitare»
Dopo la strage, adesso tutti vogliono la rivoluzione nelle Rsa, perché gli oltre seicento ospiti morti finora causa pandemia non si debbano mai più piangere. «In queste strutture, il peso delle figure sanitarie deve aumentare. Occorrono infermieri e medici interni, gli ospiti non possono più essere seguiti dal medico di famiglia, che arriva e se ne va. È una barzelletta. E non basta che la presenza di un direttore sanitario, perché la sua funzione è solo organizzativa», spiega Lorenzo Cestari della Uil pensionati.
Lo fa davanti al portone di ingresso del Convitto Principessa Felicita, nel verde della collina torinese, divenuto noto anche per l’audio di una oss che descriveva la situazione difficile nei giorni più duri dell’emergenza. Qui — secondo la direzione del Convitto — ci sono stati 82 ospiti positivi e una ventina deceduti causa Covid. Un luogo tristemente simbolico. Dove Uil, Cgil e Cisl annunciano anche di volersi costituire parte civile negli eventuali processi pegionale nali per le morti in Rsa. «Perché - dicono - che le cose cambino davvero». I sindacati chiedono un maggior controllo della Regione su queste strutture. E pure che alle Rsa si ricorra sempre meno, lasciando gli anziani a casa loro e aiutando le famiglie con un assegno di cura, il passaggio periodico di medici e infermieri, altri tipi di sostegno.
«Si possono trovare soluzioni intermedie perché gli anziani non debbano più rivivere in semi lazzaretti come tante Rsa dove vengono lasciati morire», attacca Graziella Rogolino della Cgil. Se n’è parlato anche piazza Castello, dove la Cub ha organizzato un altro incontro sul tema, a cui ha partecipato il consigliere regionale di Luv, Marco Grimaldi: «Mi chiedo ancora come si è potuto pensare che le Rsa potessero accogliere pazienti covid», dice riferendosi alla delibera reche, in piena emergenza, ha aperto le porte di queste strutture ai malati di coronavirus. Vero è che si dovevano prevedere spazi ben separati da quelli occupati dagli anziani ma molti credono che il contagio si sia diffuso comunque. Poi Grimaldi guarda al domani e a sua volta aggiunge: «Il problema è strutturale, sta nel modello Rsa. Le persone devono restare più a casa, sfruttando altri strumenti».
Andrea Ciattaglia, della Fondazione promozione sociale, é convinto che l’eventuale svolta sarebbe due volte conveniente per la Regione perché rende più felici le famiglie e seguire gli anziani a domicilio costa meno della retta di una struttura. E così la platea dei soggetti aiutati si amplierebbe.
Oggi sono 787 le Rsa in Piemonte. Uno studio dei sindacati racconta che 43 hanno avuto problemi gravi, con decessi e contagi che hanno toccato oltre la metà degli ospiti, mentre in 44 le problematiche sono state medie, con contagi tra 25 e 50 per cento del totale. Ma c’è anche un 23 per cento, pari a ben 182 Rsa, che non hanno avuto contagi. Quasi una su quattro.
«Dunque — si arrabbia Francesco Guidotti della Cisl — la strage poteva essere evitata». Oggi, in Regione, il tavolo tra assessorato e sindacati per provare a cambiare quello che non funziona tornerà a riunirsi. «Ma vogliamo risposte concrete — attacca Guidotti — altrimenti siamo pronti a lasciare l’incontro. Chiederemo anche che fine ha fatto il piano che doveva seguire la legge sull’invecchiamento attivo: doveva arrivare sei mesi dopo l’approvazione, lo aspettiamo da un anno».