«Con Camillo Olivetti alle origini di un sogno pazzesco»
In scena da martedì al Carignano lo spettacolo di Vacis con Curino Era la possibilità di un’italia diversa, oggi invece è pieno di manager che riducono tutto ad algoritmi
Ivrea come sogno realizzato, modello di una alternativa possibile. È la città della Olivetti, di Adriano come «compimento di un’idea» e, prima di lui, di Camillo come «l’inizio di un sogno straordinario». Così li descrive Gabriele Vacis, regista che da 24 anni porta in scena, con l’attrice e amica di una vita Laura Curino, lo spettacolo Camillo Olivetti. Si intreccia lo sviluppo biografico del fondatore di quella «mitica» azienda con il contesto storico, ma dalla prospettiva della «generazione Fiat», i figli degli operai del marchio torinese che, come la stessa Laura Curino, guardavano agli «olivettiani», l’«aristocrazia operaia», con invidia e ammirazione. L’opera sarà in scena da dopodomani a giovedì al Teatro Carignano per Summer Plays, la stagione estiva di Teatro Stabile e Fondazione Tpe. Il 2020 segna anche il 25esimo anniversario dalla nascita dell’idea di questo spettacolo, quando Laura Curino e Gabriele Vacis decisero di occuparsi di Adriano Olivetti e, durante le ricerche, si resero conto che la storia di Camillo era altrettanto interessante. Erano i tempi del monologo Il racconto del Vajont, scritto da Vacis con Marco Paolini (1993), un momento in cui c’era chi diceva che, dopo la caduta del Muro di Berlino, non ci fosse più niente da raccontare. E invece di storie ce n’erano eccome e al Laboratorio Teatro Settimo (co-fondato da Vacis a Settimo
Torinese) si potevano scrivere e mettere in scena, perché il terreno culturale era fertile. «Un ambiente che si è consolidato nel tempo — commenta Vacis — non solo con il teatro. Torino? Deve cambiare rotta. Ci sono voluti trent’anni per arrivare al fenomeno delle Olimpiadi, a partire da due grandi personaggi come Diego Novelli e l’arcivescovo Michele Pellegrino. Adesso non so cosa si stia seminando, ci sono le trovate, che vanno anche bene, ma le idee sono una cosa diversa».
Ed è questo che sembra aver fatto la differenza nella storia della Olivetti. «Era la possibilità di un’italia diversa — prosegue Vacis —. Adriano e Camillo pensavano a un’integrazione città-campagna e la fabbrica non era al centro del mondo. Oggi è pieno di manager che riducono tutto ad algoritmi ed è terrificante. Adriano era invece la punta avanzata dell’informatica, ma sapeva di doverla accompagnare all’umanesimo». Attuando così le idee di suo padre.
«Camillo arriva da una famiglia ebrea — racconta Laura Curino —, sposa una donna valdese, vive in un ex convento cattolico ed è ateo. È un mix fantastico. Una culla di più culture in cui fece respirare a suo figlio un pensiero alternativo». Fondamentale è stato Lessico famigliare di Natalia Ginzburg. «Basta rileggere il pezzo in cui Camillo chiede la mano di Paola Ginzburg per suo figlio — aggiunge l’attrice —, perché Adriano era in Svizzera per sfuggire ai fascisti dopo aver fatto uscire molti politici ricercati, come Rosselli e Turati. Natalia ha dato la voce a Camillo, descrivendola come acidula e infantile, sottolineando come amasse “trastullarsi con i bottoni del panciotto”. Devo molto a lei».
Nel monologo, Laura Curino parte dall’epilogo, la morte di Adriano Olivetti, uno dei quattro momenti della storia in cui fu sospeso il Carnevale di Ivrea (gli altri furono durante le due guerre e, solo pochi mesi fa, per il Covid19). Poi c’è Camillo. «L’epopea di un uomo — conclude il regista — che ai piedi delle Alpi inventa un sogno pazzesco, costruire le macchine per scrivere, creando uno dei brand più conosciuti al mondo». Che nel corso delle 700 repliche dell’opera ha portato gli autori a ritrovare la Olivetti in tutto il pianeta, dai suoi prodotti al suo modello, tuttora studiato.