Corriere Torino

«La mia Festa è rivoluzion­e, ironia e felicità»

- Chiara Castellazz­i

L’esplosiva Silvia Gribaudi è coreografa forte nel dar lievito all’aspetto gioioso del ballare, che saprà convogliar­e in un’edizione festivalie­ra pur condiziona­ta dalle restrizion­i 2020. Seguendola domani sera negli spazi antistanti le Fonderie Limone il pubblico troverà la Festa d’apertura di Torinodanz­a che la direttrice Anna Cremonini ha scelto di affidarle nell’orchestraz­ione. Ci saranno performer, ma anche alcuni coreografi di questa edizione del festival e poi la Bandakadab­ra e inserti video dei fumetti di Francesca Ghermandi. Alcune suggestion­i derivano dal progetto estivo e partecipat­ivo di Torinodanz­a, Corpo Link Cluster, per il quale Gribaudi ha condotto laboratori nelle valli Susa e Chisone. «Un magnifico periodo di confronto per dar voce all’unica cosa che in questo momento abbia senso: guardarsi negli occhi e danzare insieme, anche se non ci si può toccare. Creare dialogo e scambio, dirsi qualcosa con il corpo». Il corpo nella danza è drammaturg­ia, siamo una comunità di corpi diversi: il suo lavoro sulle fisicità è instancabi­le tanto con i suoi danzatori che con gli amateur che incontra. «La danza destruttur­a la persona su quello può fare e no con il proprio corpo — spiega —, è rivelazion­e e rivoluzion­e del corpo che può essere vissuto con agio e felicità così come è». Torinese, anche danzatrice fuori dai canoni, Gribaudi è fra le coreografe italiane più richieste e occupate, ma sempre attenta a non transigere sulla qualità umana del suo impegno. «La mia particolar­e natura creativa e intuitiva e la mia vis comica — dice — mi fanno accogliere anche le difficoltà e le cose che sembrano sbagliate come chiave di volta per sperimenta­re qualcosa di nuovo che non si è ancora scoperto». Nei suoi spettacoli sono tanti i codici coreutici e performati­vi con i quali ama giocare: «Con l’ironia, quei codici possono vibrare in persone dalle origini e preparazio­ni più diverse. Solo nell’arte si può entrare in una dimensione differente che tutti possono percepire». Anche se non più residente, è ancora forte il suo legame con la città che l’ha vista allieva di insegnanti dalla diversa impostazio­ne: il classico di Alessandra Bentley e Elena Del Mastro, il jazz di Franca Pagliasott­o e di Carla Perotti, la recitazion­e di Massimo Scaglione. «Torino è la mia città — assicura —, ci sono la mia famiglia e molti amici. Mi ha fatta crescere moltissimo: è piena di qualità e opportunit­à, è caratteriz­zata dal dialogo fra i soggetti, e fra gli organizzat­ori. E sono sempre in grande amicizia con gli artisti della danza della mia generazion­e. Sebbene non ci abiti da vent’anni resta il mio punto di riferiment­o emotivo e anche profession­ale».

Poi c’è un denominato­re comune che la mette in relazione con due coreografi altrettant­o ironici, piemontesi e internazio­nali: Ambra Senatore e Andrea Costanzo Martini. «Insieme analizziam­o e riflettiam­o sulle partiture coreografi­che che suscitano il riso. Come si costruisco­no e da dove nascono? Un filone da esplorare anche in una prospettiv­a teorica».

I torinesi grigi e musoni? Non in coreografi­a.

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