«Termometro in classe, abbiamo avuto ragione»
Il presidente: «Inaccettabile che manchino ancora 20 mila cattedre»
Il presidente Alberto Cirio rivendica la validità della sua ordinanza sulla misurazione della temperatura a scuola. E sul lavoro sprona il governo.
Alle sei della sera, il Presidente della Regione Alberto Cirio si infila un’altra volta in macchina per un’ulteriore tappa del tour de force che si è imposto per il primo giorno di scuola, consapevole che — come la definisce lui — il 14 settembre sia stata «la vera ripartenza».
Beh, Presidente, credo possa dirsi soddisfatto. Tutto è sostanzialmente filato liscio.
«Ne ero convinto. E questo perché ho conosciuto le persone che lavorano nelle scuole: professori, dirigenti, personale amministrativo. So con quanta efficacia e efficenza lavorino perché la scuola funzioni. La mia ordinanza, osteggiata dal ministero dell’istruzione, è stata attuata senza problematiche».
Maestre e genitori fuori dagli
istituti a prendere la temperatura ai bambini.
«Ho ricevuto apprezzamento da tante mamme, che di solito sono più apprensive, da tanti papà e dalle scuole stesse».
Ha capito perché il ministero era pronto a impugnare l’ordinanza che invita le scuole, in assenza di autocertificazione dei genitori, a misurare la febbre agli studenti?
« No. Vede questa è stata la mia posizione fin dall’inizio: in tutte le riunioni della Conferenza Stato-regioni ritenevo assurdo che lo Stato obbligasse le fabbriche e i Comuni a misurare la temperatura per clienti e cittadini e poi, nella scuola — dove in fondo lo Stato comanda — si delegasse ai familiari. E comunque nessuno ha impugnato niente».
Non si fida dei genitori?
«Non è quella la questione. Ma certo non si può ignorare il fatto che per esempio a Grugliasco ci siano delle famiglie che negano la presenza del virus e che dicano apertamente che non prenderanno la febbre ai propri ragazzi. Io devo tutelare tutti gli studenti e non solo. È assodato ormai che i bambini trasmettano il
virus ai nonni. Sembra che non sia servita l’emergenza di pochi mesi fa».
Non può sottovalutare la difficoltà di misurare la febbre tutti i giorni a tutti gli studenti.
«Il governo ha ceduto a ragioni incomprensibili. Non siamo organizzati, è vero. Ma se si fossero organizzati a partire da giugno, ora non staremmo qui a parlarne. Era troppo complicato? Potevano demandare alle Regioni. Abbiamo dimostrato di saper far fronte all’emergenza. Potevamo anche chiedere l’aiuto dei privati: sarebbe sata una bella iniziativa».
Lei ha tenuto il punto, insomma.
«La ministra ha capito il significato di “Bogia nen”».
Lo so: «non ti muovere», «fermo», «prudente».
«No. I “bogia nen” erano i piemontesi caparbi che durante la prima guerra mondiale non mollavano la trincea
pur di difendere la propria gente».
Ora è pronto a aprire un altro fronte, sulle cattedre.
«Ma le pare possibile che nel primo giorno di scuola ci siano 20 mila cattedre vacanti? Ma le pare?»
In questi giorni stanno assegnandole.
«D’accordo: ma non è che l’inizio dell’anno scolastico l’abbiano estratto a sorte, eh? Comincia sempre a settembre. Perché non sono state assegnate prima? Cosa dico ai genitori di bambini che hanno bisogno di un sostegno che quel sostegno non c’è?»
Obiezione: Non è colpa del Covid. Tutti gli anni si comincia con le cattedre vuote.
«Appunto. Tutto ciò non è accettabile. A maggior ragione nell’anno del Covid. Per fortuna che, ancora una volta, professori e dirigenti scolastici hanno supplito con una professionalità incredibile».
La sua Giunta ha «scartato» rispetto alle altre anche su un altro fronte: è stata la prima a riattivare l’unità di crisi.
«Ho provato a mettere a frutto l’esperienza maturata in questi mesi. Per esempio ho imparato che l’unità di crisi andava rimodulata diversamente. L’abbiamo riorganizzata e messa in funzione. Resterà attiva fino a quando il governo manterrà lo stato di emergenza».
Sul piano sanitario, dunque, sembra che siamo pronti a affrontare la seconda ondata. Sul piano economico e sociale invece?
«La crisi del lavoro è l’altra faccia della medaglia della crisi. Sono molto preoccupato per Torino, che è l’epicentro della crisi da questo punto di vista».
Avete un piano? Ne ha discusso con la Sindaca e gli altri attori?
«Guardi, con la Sindaca di Torino abbiamo punti di vista diversi su molte cose, ma su questo siamo compatti. Così come con l’arcivescovo Monsignor Cesare Nosiglia, e tutti gli altri attori della città».
E qual è il piano allora?
«Scusi, ma si ricorda un anno fa? Presentammo tutti insieme un progetto per Torino che il Presidente del Consiglio Conte sottoscrisse. Lì ci sono tempi, progetti, soluzioni. Vennero decisi 100 milioni, ma non sono mai arrivati. La regione ne ha messi 30, in Finanziaria ce ne sono stanziati altri 20 ma non si sono visti».
È solo un problema di soldi, quindi?
«Noi abbiamo le idee chiare e siamo compatti su questo. Abbiamo solo bisogno di risorse. Non si possono tenere aperte le aziende per decreto. Quando il blocco dei licenziamenti finirà, dobbiamo essere pronti. Sa cosa dicono dalle mie parti in Langa?»
No.
«Quando vieni da noi, portà metà consigli e metà risorse. Qui son tutti buoni a dar consigli, ma di soldi non se ne vedono».
Se si tratta di pungolare il governo, un modo ci sarebbe. Se vincesse il «no» nel referendum che si tiene questo week end il messaggio sarebbe chiaro.
«E invece io voto sì. Libertà di voto per tutti, ovviamente non do consigli a nessuno. Ma io voto sì».
Perché?
«Vede, al Parlamento europeo eravamo in 753 in rappresentanza di 600 milioni di cittadini. Vero che non dobbiamo cedere al criterio della rappresentanza e bisogna fare in modo, con una legge elettorale adeguata, di garantire che le minoranze soprattutto abbiano voce. Ma sostenere che non si possa toccare un pletorico corpo di 1000 eletti per 60 milioni di cittadini, mi pare un po’ esagerato».
❞ Ora la ministra ha capito il vero significato di essere un «Bogia nen» Sono i piemontesi caparbi che non mollavano la trincea