«Lotto da 80 anni» Pezzana si racconta
Nel giorno del compleanno, Pezzana ripercorre la sua vita: «Metà l’ho dedicata alla causa omosessuale e l’altra metà a quella ebraica Prima, dopo e durante ci sono stati i libri»
Non festeggerà il compleanno, oggi. Angelo Pezzana non l’ha mai fatto. A ottant’anni non è nostalgico per niente, guardarsi indietro non gli piace. Eppure ne ha di storie da raccontare, le battaglie politiche e sociali, «Fuori!» l’associazione che ha fondato per porre fine al silenzio sulla questione omosessuale, il Salone del Libro che ha reso Torino la capitale dell’editoria, gli incontri in libreria con gli autori, un format che prima non esisteva. «Metà della mia vita l’ho dedicata alla causa omosessuale, l’altra metà a quella ebraica con la Fondazione Italia Israele. Prima, dopo e durante ci sono stati i libri».
Nel 1970 gli omosessuali non venivano neanche nominati, facevano parte di un mondo nascosto, quando andava bene ci si rivolgeva a loro come al terzo sesso. Lei ha deciso di fondare l’associazione Fuori! Dove ha trovato il coraggio?
«Volevo smettere di essere invisibile. Ricordo un convegno di psichiatri a Sanremo in cui si affermava che l’omosessualità era una malattia da cui si poteva guarire. Pensavamo fosse il posto giusto per farci vedere, per dire che eravamo sani come pesci. Andammo a presentarci, io facevo già il libraio, un giornalista mio cliente mi chiese: “È anche psichiatra?”. Gli spiegai che ero omosessuale, rispose: “Peccato che sul giornale quella parola non si possa scrivere”».
Come viveva la sua omosessualità negli anni Settanta?
«Non ho mai pensato di essere malato. Ma sono cresciuto in una famiglia cattolica, di sesso non si parlava. Sentivo il peso dell’invisibilità, perché ciò che vivevo e provavo non era supportato dai film, dai libri, dai giornali. Era come se i gay non esistessero, ci si incontrava nei cinema al buio. A trent’anni mi sentivo abbastanza forte per uscire all’aria aperta».
Non aveva paura delle possibili conseguenze?
«Mai. Una sera un professore provò ad ammonirmi: “Perderai clienti”. Non è andata così, qualcuno l’ho perso, ma sono stati di più quelli che ho trovato».
La sua prima libreria, la Hellas, l’ha aperta nel 1963, giovanissimo. Ha sempre sognato di fare il libraio?
«In realtà volevo fare l’editore. Ma per fondare una casa editrice ci vogliono soldi e io non ne avevo. Mio padre mi disse, comincia con una libreria, poi vediamo. La aprii in via Roma, dove un tempo c’era una confetteria. Oggi a Torino accade il contrario. La chiamai Hellas, in onore della Grecia, una cultura che non discriminava la sessualità. Anni dopo ho aperto la Luxemburg con la stessa idea: letteratura, riviste e stampa internazionale».
Che effetto le ha fatto Torino senza Salone?
«Una decisione dolorosa e inevitabile. Prima deve passare questo momento. Certo, mi dispiace, il Salone lo abbiamo fondato io e Guido Accornero nel 1987: “Ma chi vuoi che venga?” mi sentivo dire da tutti. La mia risposta era sempre la stessa: “Tutti e da tutto il mondo. Non solo: pagheranno anche il biglietto”».
Davvero non ha nostalgia di niente?
«Del mio compagno Alfredo Cohen, che è morto dieci anni fa. Mi viene sempre in mente, ma senza rimpianti».
Come vi siete conosciuti?
«Nel 1970, al Cinema Alexandra, frequentato dagli omosessuali. Succedeva così: entravamo in sala e ci guardavamo intorno per cercare qualcuno che ci piacesse. Io ho incontrato lui, ci siamo guardati negli occhi e abbiamo deciso di uscire per parlare. Una modalità che non esiste più, per fortuna. O forse non per fortuna, perché senza quei pomeriggi clandestini io forse Alfredo non lo avrei mai conosciuto».
Ha paura della morte?
«Pensi che il mio primo testamento l’ho fatto a 20 anni. Nel 2003 poi mi sono organizzato un funerale, con lapide inclusa, a cui ho invitato gli amici più stretti. Volevo sentire tutta la verità sul mio conto, e la canzone Ainu malkeinu di Barbra Streisand in sottofondo».
E della vecchiaia ha paura?
«No, ma chi dice che gli ottant’anni sono una bella età mente. La vecchiaia è terribile, obbliga a molti sacrifici, a fare i conti con il fatto che tante cose non puoi farle più».
Angelo Pezzana si smentisce subito dopo raccontando il suo prossimo progetto, una mostra che vuole organizzare per i cinquant’anni di «Fuori!», con documenti inediti, foto, materiali d’archivio. La storia di quegli anni e della prima associazione nazionale di gay e lesbiche merita, anche grazie al sostegno dei torinesi, di non essere dimenticata.
❞ Volevo fare l’editore, ma non avevo abbastanza soldi. Così aprii una libreria: la chiamai Hellas ❞ Non temo la morte, nel 2003 mi sono organizzato un funerale Ora sogno una mostra sul Fuori!