Sguardo sul passato scomodo
Il colonialismo, le sue atrocità e i suoi «residui» sono al centro della riflessione degli artisti in mostra alla Fondazione Sandretto
La fotografia è vista come il migliore mezzo per conservare la memoria di qualsivoglia evento o momento storico. Apparentemente serve per non dimenticare, facendo sì che la narrazione non possa essere manipolata. Spesso, però, il mezzo fotografico è servito per mantenere lo status quo o per offrire una narrazione «artefatta», a favore di una parte. È il focus di Tutto passa
il passato, tranne la mostra alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo (fino al 18 ottobre), organizzata con il Goethe Institut e curata Jana J. Haeckel, parte del Festival sull’eredità (post)coloniale che terminerà il 18 ottobre con quattro panel sul postcolonialismo. Nel corso della storia, la fotografia ha (anche) raccontato il mondo con un’ottica «colonialista», con il doppio intento di descrivere luoghi culturalmente lontani ma attraverso il «nostro» punto di vista o, peggio ancora, cercando di «normalizzare» le altre culture a nostro uso e consumo. Le atrocità perpetrate dai governi europei in Africa, Asia e Sud America non sono una novità, le immagini del genocidio congolese voluto da Leopoldo II del Belgio (un esempio tra i molti) sono mostruosamente note. Se però ci soffermiamo a riflettere non solo sulle immagini in sé, e sull’orrore che rappresentano, appare chiaro che ciò che descrivono è il rapporto tra un popolo «superiore» e uno «inferiore». E di questo rapporto di forza tra colonizzatori e colonizzati fa parte anche la grande discussione in atto in questi ultimi anni riguardante il rimpatrio nei Paesi d’origine delle opere (artistiche o etnografiche) oggi nei musei europei e, anche, della lettura «di parte» che molti musei forniscono del patrimonio culturale delle ex colonie.
La mostra si confronta con questo vasto dibattito grazie alle opere delle artiste Bianca Baldi, Alessandra Ferrini, Grace Ndiritu e del collettivo Troubled Archives. Cinque lavori per altrettanti diversi approcci, con un punto di partenza comune: fare i conti con il passato colonialista (spesso negato) di molte nazioni europee.
Troubled Archives presenta le opere Radiatio 1, Radiatio 2 (2020) e The Recognition Machine (2019): lo spunto nasce da alcune immagini che la Missione della Consolata di Torino produceva in Africa tra Otto e Novecento. Per rappresentare «scene di vita di tutti i giorni», «abitudini» e «caratteri» dei nativi, ma sulla base di canoni culturali italiani. Foto scomode e spiacevoli, frammentate e alterate dal collettivo e ora proiettate su una parete.
La sudafricana Bianca Baldi (Johannesburg, 1985) è l’autrice di Eyes in the Back of Your Heads (2017), un’installazione in forma di labirinto composta da immagini stampate su tessuto, sculture e un video. L’opera riguarda il poco conosciuto passato coloniale della Germania, esaminando il ruolo della tecnologia come strumento di potere nel Togo (colonia tedesca dal 1884 al 1919).
Alessandra Ferrini (1984) è l’autrice di Sight Unseen (2020), opera che narra il passato colonialista italiano (del quale spesso sembriamo negare le atrocità), attraverso la storia di Omar al-mukhtar. Simbolo del popolo libico durante l’occupazione fascista, è stato poi «utilizzato» anche dal regime di Gheddafi per scopi propagandistici, in entrambi i casi impedendo una reale narrazione della sua figura.
L’installazione A Quest for Meaning (AQFM) di Grace Ndiritu (1982), nata in Kenya ma cresciuta in Gran Bretagna, è composta da immagini senza alcuna connessione apparente, unite però dall’incertezza da parte dell’osservatore sul luogo dove sono state scattate, il periodo storico o anche l’oggetto fotografato. Perché tutto è diverso da come appare, soprattutto il passato più scomodo.