Corriere Torino

La «Venere degli stracci» che dà voce agli ultimi

L’opera di Pistoletto arriva alla Fabbrica delle E di don Ciotti

- Mecca

C’è la perpetua bellezza e il degrado delle cose che si creano e si distruggon­o in continuazi­one. La Venere e gli stracci. Guardando l’opera di Michelange­lo Pistoletto nei giorni scorsi a don Luigi Ciotti sono venuti in mente i migranti, i rifugiati, gli esclusi e gli offesi, i morti ammazzati: don Roberto Malgesini, il prete della chiesa di San Rocco ucciso a coltellate lunedì, il ventunenne Willy Monteiro Duarte, Maria Paola Gagliano e il modo in cui ha perso la vita, per mano del fratello. «Chi può permetters­i di giudicare un amore che non lo riguarda?», ha detto il fondatore del gruppo Abele e dell’associazio­ne Libera durante il dialogo con Pistoletto dal titolo «Il valore dell’arte nell’incontro con l’altro». La Venere degli stracci, il capolavoro realizzato nel 1967 dal maestro dell’arte Povera non ha perso la sua forza provocatri­ce. Sono passati più di 50 anni e quella figura che mostra la schiena davanti a un ammasso disordinat­o e confuso di cianfrusag­lie continua ad apparire come una profezia agli occhi di don Ciotti e di tutti quelli che la osservano. Da oggi, l’opera sarà esposta all’interno della Fabbrica delle E, nella casa del gruppo Abele. Sarà possibile visitarla negli spazi di corso Trapani 91/b fino alla fine di dicembre, grazie alla collaboraz­ione con il dipartimen­to Educazione Castello di Rivoli, che dal 2005 condivide con Pistoletto, Cittadella­rte e la Rete Ambasciato­ri Terzo Paradiso un percorso culturale e di ricerca, volto a superare i confini tra l’arte e la vita. Nel corso dei prossimi mesi, oltre alla visita, verrà programmat­o un vasto calendario di incontri e iniziative collateral­i. «Come nasce stupidamen­te un’opera», ha scherzato l’artista biellese di 87 anni. «Non è nient’altro che istinto, la suggestion­e di mettere insieme due elementi già esistenti per creare qualcosa di diverso: un simbolo del passato che con la sua carica di bellezza è capace di dare nuova vita a un mucchio di stracci, che trasmetton­o tutto il senso della fragilità umana e delle nostre vite in transito». La Venere ci parla ancora, o almeno vorrebbe farlo, come ha detto don Ciotti accogliend­o l’installazi­one nelle sue sale: «Io vedo in questa Venere la bellezza che potrebbe sorgere se fossimo in grado di accogliere gli altri, di ospitarli come fratelli in una società giusta e solidale. Imparando a riconoscer­li non sono fuori e attorno a noi, ma dentro di noi. Sentendo sulla pelle le loro ferite e le loro speranze». Quegli stracci siamo tutti noi, la gran parte dell’umanità che vive senza lavoro, dignità, casa, libertà. Abbiamo ancora molto da imparare dallo sguardo della Venere che si nega e si sottrae, che all’esibizione della bellezza (un costume molto contempora­neo), preferisce la compassion­e, posare gli occhi su quel cumulo disordinat­o e disgraziat­o che sono le nostre vite, mettersi nei nostri panni, nei panni degli altri. «Non è possibile che esista una vita che offende la vita degli altri», ha aggiunto don Ciotti ricordando i nomi delle vittime degli scorsi giorni e non solo. E i panni sporchi parlano anche di loro, con la forza di una denuncia. Per questo è giusto che quest’opera sia itinerante e venga portata in giro nei luoghi simbolo dell’emergenza sociale. Prima di arrivare alla Fabbrica delle E, la Venere è stata accolta a Lampedusa, a Ventimigli­a, e al Museo dell’altro e dell’altrove di Roma. Adesso, per i prossimi tre mesi rimarrà nella casa del gruppo Abele, per simboleggi­are l’accoglienz­a delle sofferenze umane, ma anche la fiducia che dobbiamo avere nella bellezza.

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L’opera «Venere degli stracci» con l’autore, Michelange­lo Pistoletto
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Michelange­lo Pistoletto (a sinistra) con don Ciotti; nella foto grande, la Venere degli stracci
L’incontro Michelange­lo Pistoletto (a sinistra) con don Ciotti; nella foto grande, la Venere degli stracci

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