Quando più del tampone manca il centralinista
Lo scorso 12 settembre sono atterrato a Caselle da Malta, dove ero stato per chiudere la postproduzione di un film. Non ho partecipato a rave o ad assembramenti ma, al rientro in Italia, sono stato sottoposto a tampone. Appena sbarcati, i passeggeri vengono avvisati da un addetto bardato da emergenza epidemica.
Certo, sarebbe utile che avesse a disposizione un microfono per farsi sentire da tutti e che qualcuno traducesse in inglese per chi non capisce l’italiano, ma sono dettagli. Lo è anche il fatto che, come molti altri, ho dovuto buttare il modulo, compilato in volo, che il governo mette on-line, mentre la Regione Piemonte lo considera carta straccia, riconoscendo solo il suo. Ad ogni modo, dopo una decina di minuti, consegno il nuovo modulo, seguo le indicazioni e raggiungo il luogo dove si fanno i tamponi: una sala checkin in disuso dai tempi Olimpiadi, dietro il parcheggio. Lì i miei dati vengono registrati, due gentili operatrici procedono al tampone e vengo avvertito che nel giro di 72 ore verrò avvisato al cellulare del risultato. Fino ad allora, devo stare in isolamento fiduciario. Sono le 8:40 di sabato. Faccio due conti: al più tardi, martedì mattina — se non ho il Covid — potrò riprendere la mia vita normale. Poteva andare peggio: c’è di mezzo il weekend, e con un giorno di smart working me la cavo. Comunque, penso, dicono «entro 72 ore», la telefonata potrebbe arrivare anche prima. Così torno a casa e metto in opera le ben note disposizioni: distanza sociale con tutti. Anche con la mia compagna: vado a dormire in un’altra stanza. Non esco e non ricevo visite. Cene e pranzi seduto lontano a capotavola, come nei convivii dei nobili. E aspetto.
Passa il weekend, passa lunedì, passa anche tutto martedì. Dal mondo di fuori comincio a sentire un certo nervosismo: c’è un nuovo film che devo girare in città da ottobre e la troupe è sostanzialmente ferma perché mi aspetta. Passa anche mercoledì. Chiamo il numero verde della Regione. Ci vogliono una decina di minuti prima che qualcuno mi parli ma sono abbastanza paziente da resistere per non «perdere la priorità acquisita». Mi risponde un cortesissimo operatore a cui spiego la situazione. Lui solidarizza e sospira. «Eh, in effetti non è che ti chiamino sempre entro le 72 ore…». Insomma, ci troviamo di fronte a
Il Kit per il tampone agli arrivi di Caselle
un classico caso di metafisica burocratica: imperscrutabili quanto fatali meccanismi fanno sì che gli impegni dello Stato non possano essere mantenuti. Chiedo se l’operatore può farci qualcosa. Altro sospiro: figuriamoci, c’è la privacy. «Però…» «Però?». Mi dice che i medici di base hanno accesso al database regionale e che quindi il mio potrebbe vedere com’è la situazione. Aggiunge peraltro — e lo ripete due volte — «Se il medico ne ha voglia, eh…». Intuisco che dev’essere al corrente di numerosi casi in cui i medici «non ne avevano voglia»: o tempo, o possibilità. D’altra parte, mi informa, non sono obbligati. È un favore che possono fare oppure no. Comunque, mi assicura, «Vedrà che prima o poi la chiamano». Al momento in cui scrivo (la sera di venerdì 18 settembre), non l’hanno ancora fatto. Per fortuna ho un medico di famiglia molto gentile che è andato a vedere il risultato del test per me. Mi ha mandato uno screenshot del video che mi riguarda. Sono negativo, e questa è la buona notizia. Quello che mi inquieta è quello che leggo vicino al test: il mio tampone è stato processato dal laboratorio alle 22.24 di sabato. Cioè lo stesso giorno in cui è stato prelevato. In poche parole: la parte clinica del test si è svolta con la massima celerità. Ma per fare una telefonata non sono bastati (ad oggi) sei giorni.
Ci sono due scenari. Il primo: sono un caso sfortunato. Il secondo: qualcosa non funziona nel sistema. C’è un imbuto in cui l’efficienza del laboratorio si infila nell’inadeguatezza di uno sgangherato call center. In mezzo, ci siamo tutti noi, in ostaggio. Impossibilitati a vivere e lavorare normalmente (anche a votare, al momento) a meno di avere un medico di base volonteroso. Eppure non sembra che ci vorrebbe molto: giusto qualche centralinista in più.