Belotti, cuore Toro
Il centravanti granata è il simbolo di una squadra che non abbassa la testa se non per correre Storia di un attaccante che unisce il passato e il futuro con la forza del sudore, acrobazie e gol
Predestinato. Si può dire, si può scrivere. Andrea Belotti arrivò al Toro nell’estate 2015, dal Palermo. Il presidente Urbano Cairo al momento della presentazione raccontò: «È il mio acquisto più costoso in dieci anni (primato poi battuto più volte sino a Simone Verdi, l’estate scorsa, pagato oltre 24) più che la ciliegina sulla torta è la torta». Una profezia che giorno dopo giorno e gol dopo gol è diventata realtà
Oggi Andrea Belotti non è neppure più la torta, è un pezzo di storia del Torino. Ne porta la fascia da capitano interpretando quel ruolo con la stessa umiltà e generosità che ne caratterizzano anche il gioco, fatto di corse, scatti, spallate, tackle e sudore prima ancora che di gol. In quel giorno del 2015 Cairo lo aveva avvicinato a Francesco Graziani, e lo stesso Ciccio pochi giorni dopo disse chiaramente che si ritrovava bene, preciso, nel paragone: ««Andrea ha corsa, un bel tiro, è arrivato giovane e può migliorare come feci io che arrivai a vent’anni».
I numeri oggi parlano per Andrea, che come Graziani ha un soprannome che lo distingue. Da Ciccio al Gallo attraverso 214 gol, la somma dei palloni spediti in fondo al sacco dai due. Graziani arrivò a 122 in otto anni, Belotti è a quota 92 (79 in campionato) dopo 192 partite in cinque stagioni, viaggia a un ritmo che può portarlo presto a raggiungere il bomber.
Era il 28 novembre di quel 2015 quando arrivò il suo primo attesissimo gol. Era titolare contro il Bologna, al suo fianco Fabio Quagliarella, in testa un cerchietto che all’epoca tanti usavano. Oggi sembra preistoria. Finì 2-0 e fu il Gallo a esultare per primo, al 30’ della ripresa: palla lunga di Emiliano Moretti, stop di petto in corsa al limite dell’area, uno scatto sulla sinistra e un tiro mancino violento e preciso sul primo palo di Mirante. Un gioiellino che racconta molto bene le qualità di Belotti. Ne segnò uno solo nel girone di andata, un periodo durante il quale Giampiero Ventura se ne occupò alla sua maniera, estraendo con calma dal giovane Belotti il talento che si vedeva sempre di più, alternando maglie da titolare a panchine proprio fino a novembre quando decise che Belotti era pronto a esplodere. Il girone di ritorno il Gallo segnò altre 11 volte.
L’arrivo di Sinisa Mihajlovic sulla panchina del Toro lo esaltò ulteriormente, Andrea segnava a ripetizione e nel marzo 2017 indossò per la prima volta la fascia da capitano. Succede per la squalifica di Benassi, lui è già arrivato a 19 reti stagionali, si gioca il titolo di cannoniere del campionato con Higuain e Dzeko (nonostante tre rigori sbagliati). Capitano del Toro, contro il Palermo, il 5 marzo 2017: finisce 3-1 per i granata. Due colpi di testa alternati a un destro. Tripletta, la seconda stagionale. Chiuderà con 26 reti in A.
La storia del capitano comincia quel giorno e continua oggi, giorno dopo giorno Andrea Belotti ha fissato quella fascia al braccio sinistro e l’ha cucita sull’anima dimenticandosi di quella clausola da 100 milioni e poi delle sirene del mercato, sposando Torino e il Torino dove non senza difficoltà — ma anche con splendide, iconiche rovesciate — è sempre arrivato a segnare gol in doppia cifra: cinque anni consecutivi. Così è arrivato fra i primi dieci bomber della grande storia del Toro, una storia d’amore che continua.