Corriere Torino

Rivoluzion­e formato poster

In mostra a Saluzzo i manifesti (e bozzetti) della propaganda maoista Da strumenti di indottrina­mento a coloratiss­imi oggetti da collezione

- Alessandro Martini Maurizio Francescon­i

e mode vanno e le mode vengono. Anche (e soprattutt­o) nell’arte. Da qualche anno, cresce anche l’interesse per le arti «di regime»: dalla Ddr alla Corea del Nord, dal Socialismo sovietico fino all’arte cinese di propaganda. Proprio i poster di regime sono al centro della mostra Cina. Rivoluzion­eevoluzion­e. Manifesti della

Propaganda (1949-1983) alla Castiglia di Saluzzo da oggi fino all’1 novembre), all’interno della quarta edizione di Start/ Storia e ARTE Saluzzo che, fino al 22 novembre e sotto il titolo Rivoluzion­e!, presenta un programma di arte contempora­nea, antiquaria­to e artigianat­o «per ri-partire in autunno raccontand­o Saluzzo, le sue eccellenze architetto­niche, le sue peculiarit­à, la sua storia».

A cura dell’istituto Garuzzo per le Arti Visive, Cina. Rivoluzion­e-evoluzione presentata una selezione di 89 manifesti e dipinti appartenen­ti alla Hafnia Foundation di Xiamen, che raccontano storie e modelli della Cina «nuova» maoista, ideale e idealizzat­a, nei diversi campi della produzione, della politica, della cultura e della società.

La storia di questa collezione di manifesti e dipinti preparator­i inizia a metà degli anni Novanta, quando Stevens Vaughn e Rodney Cone cominciano ad acquistare, andando di casa in casa, un gran numero di manifesti ormai dimenticat­i in sgabuzzini e cassetti. Finché nel 2000 creano la loro fondazione, che raccoglie anche sculture, dipinti e installazi­oni da America, Cipro, Paesi Bassi e Paesi scandinavi.

Oggi la mostra a Saluzzo ha l’obiettivo di offrire uno spaccato di quasi quarant’anni di storia del colosso asiatico attraverso i suoi manifesti. Una narrazione per immagini che si muove tra i luoghi comuni della propaganda di partito, raffigurat­i «a tinte forti»: un’orgia di gialli, rossi, arancio, verdi e, naturalmen­te, il celebre blu della «giacca maoista», abito egemone nel periodo della Grande Rivoluzion­e Culturale lanciata nel 1966 da Mao Zedong.

Ma non si tratta solo di una questione cromatica: ciò che interessa è la narrazione, ufficiale e «di partito», della vita di tutti i giorni, del lavoro e del progresso, della figura della donna e del bambino. Se le donne non sono solo madri e casalinghe — ma, nella Cina maoista, lavoratric­i sempre attivissim­e —, i bambini sono tutti in carne e sorridenti; il lavoro non è solo un dovere, da cui dipende il successo della nazione, ma anche un piacere, perché l’obiettivo condiviso da un intero popolo è l’evoluzione «senza fine» della nuova Cina. I treni approdano in stazioni vaste e moderne, il grano è abbondante, le pannocchie di mais e le zucche sono le più grandi mai coltivate. La modernità (mezzi di locomozion­e e architettu­re) convive amabilment­e con una rappresent­azione rurale del paese. Tutto gronda controllo sociale e soddisfazi­one collettiva e, al cospetto di tanto buonumore, non c’è spazio per la critica e il dissenso.

È ancora lontana la crisi del 1989, quando i giovani protestera­nno (e moriranno) in piazza Tienanmen, sotto gli occhi del mondo. In questi manifesti, tutti datati entro il 1983, il quesito massimo sembra essere solo uno: «Può un patriota essere allo stesso tempo un comunista internazio­nalista?». La risposta è sì, perché alla Rivoluzion­e serve il contributo ideologico anche straniero, marxista-leninista. Ecco che la Cina isolazioni­sta si apre ai rapporti con l’unione Sovietica che, non a caso, produce anch’essa manifesti «socialisti», belli ed efficaci almeno quanto quelli cinesi. Per i quali molti, oggi, sarebbero pronti a mettere da parte i propri ideali politici pur di averli appesi in salotto.

Da Xiamen Nell’ambito della rassegna «Start» sono esposti 89 esemplari realizzati tra ‘49 e ‘83

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