Rivoluzione formato poster
In mostra a Saluzzo i manifesti (e bozzetti) della propaganda maoista Da strumenti di indottrinamento a coloratissimi oggetti da collezione
e mode vanno e le mode vengono. Anche (e soprattutto) nell’arte. Da qualche anno, cresce anche l’interesse per le arti «di regime»: dalla Ddr alla Corea del Nord, dal Socialismo sovietico fino all’arte cinese di propaganda. Proprio i poster di regime sono al centro della mostra Cina. Rivoluzioneevoluzione. Manifesti della
Propaganda (1949-1983) alla Castiglia di Saluzzo da oggi fino all’1 novembre), all’interno della quarta edizione di Start/ Storia e ARTE Saluzzo che, fino al 22 novembre e sotto il titolo Rivoluzione!, presenta un programma di arte contemporanea, antiquariato e artigianato «per ri-partire in autunno raccontando Saluzzo, le sue eccellenze architettoniche, le sue peculiarità, la sua storia».
A cura dell’istituto Garuzzo per le Arti Visive, Cina. Rivoluzione-evoluzione presentata una selezione di 89 manifesti e dipinti appartenenti alla Hafnia Foundation di Xiamen, che raccontano storie e modelli della Cina «nuova» maoista, ideale e idealizzata, nei diversi campi della produzione, della politica, della cultura e della società.
La storia di questa collezione di manifesti e dipinti preparatori inizia a metà degli anni Novanta, quando Stevens Vaughn e Rodney Cone cominciano ad acquistare, andando di casa in casa, un gran numero di manifesti ormai dimenticati in sgabuzzini e cassetti. Finché nel 2000 creano la loro fondazione, che raccoglie anche sculture, dipinti e installazioni da America, Cipro, Paesi Bassi e Paesi scandinavi.
Oggi la mostra a Saluzzo ha l’obiettivo di offrire uno spaccato di quasi quarant’anni di storia del colosso asiatico attraverso i suoi manifesti. Una narrazione per immagini che si muove tra i luoghi comuni della propaganda di partito, raffigurati «a tinte forti»: un’orgia di gialli, rossi, arancio, verdi e, naturalmente, il celebre blu della «giacca maoista», abito egemone nel periodo della Grande Rivoluzione Culturale lanciata nel 1966 da Mao Zedong.
Ma non si tratta solo di una questione cromatica: ciò che interessa è la narrazione, ufficiale e «di partito», della vita di tutti i giorni, del lavoro e del progresso, della figura della donna e del bambino. Se le donne non sono solo madri e casalinghe — ma, nella Cina maoista, lavoratrici sempre attivissime —, i bambini sono tutti in carne e sorridenti; il lavoro non è solo un dovere, da cui dipende il successo della nazione, ma anche un piacere, perché l’obiettivo condiviso da un intero popolo è l’evoluzione «senza fine» della nuova Cina. I treni approdano in stazioni vaste e moderne, il grano è abbondante, le pannocchie di mais e le zucche sono le più grandi mai coltivate. La modernità (mezzi di locomozione e architetture) convive amabilmente con una rappresentazione rurale del paese. Tutto gronda controllo sociale e soddisfazione collettiva e, al cospetto di tanto buonumore, non c’è spazio per la critica e il dissenso.
È ancora lontana la crisi del 1989, quando i giovani protesteranno (e moriranno) in piazza Tienanmen, sotto gli occhi del mondo. In questi manifesti, tutti datati entro il 1983, il quesito massimo sembra essere solo uno: «Può un patriota essere allo stesso tempo un comunista internazionalista?». La risposta è sì, perché alla Rivoluzione serve il contributo ideologico anche straniero, marxista-leninista. Ecco che la Cina isolazionista si apre ai rapporti con l’unione Sovietica che, non a caso, produce anch’essa manifesti «socialisti», belli ed efficaci almeno quanto quelli cinesi. Per i quali molti, oggi, sarebbero pronti a mettere da parte i propri ideali politici pur di averli appesi in salotto.
Da Xiamen Nell’ambito della rassegna «Start» sono esposti 89 esemplari realizzati tra ‘49 e ‘83