Le tre «erre» che cambiano la filiera del caffè
La svolta di Costadoro: i sacchi di juta e gli scarti aiutano la terra
«Negli anni novanta il caffè doveva essere buono. Nel duemila, anche bello. Dieci anni fa si è aggiunto un terzo obiettivo: il caffè doveva, e deve ancora, essere sostenibile». Così Giulio Trombetta, amministratore delegato della torinese Costadoro, spiega com’è cambiato il modo di fare impresa di questo settore, e dell’azienda che rappresenta. Che, nonostante la crisi economica innescata dalla pandemia, ha appena comprato e inserito in linea una seconda macchina di confezionamento per packaging compostabile. Una mossa etica, dettata dalla fiducia verso le nuove generazioni under trenta, «da cui traggono ispirazione molte scelte imprenditoriali del nostro gruppo», precisa. Con un centinaio di dipendenti e centotrenta anni di storia, Costadoro conta venti milioni di fatturato per duecento milioni di tazzine servite ogni anno. E, esportando il cinquantacinque per cento della produzione, è presente in più di trenta paesi del mondo. «Guardando al futuro, abbiamo capito che l’atteggiamento di responsabilità sociale e ambientale dei nostri giovani è tutt’altro che forzato — spiega Trombetta — ci hanno convinti: si può, e si deve, lavorare a garanzia di un mondo più sano». Partiti gradualmente nella dismissione di confezioni fatte di plastica e alluminio, e in latta, oggi tutti i pacchi di caffè Costadoro vanno verso la certificazione «ok compost», a ridotto impatto ambientale. Non solo «possono essere smaltiti nei rifiuti organici — spiegano dall’headquarter — per produrli serve anche meno energia rispetto ai classici pacchetti». La prima macchina capace di lavorare con questo sistema è stata comprata nel 2019. La seconda, arrivata in azienda in primavera, è stata avviata subito dopo il lockdown. «Queste confezioni ci costano il triplo rispetto alle precedenti — continua Trombetta — ma ne vale la pena». Il novantacinque per cento del business Costadoro riguarda il settore horeca: bar, ristoranti, hotel. Tra i comparti più colpiti dalla crisi economica del lockdown. E dalla mancanza degli incassi derivanti dalle pause pranzo dei tanti impiegati ancora in smart working. «Sostenibilità significa anche attenzione alle persone — precisa l’ad dell’azienda di caffè — da quando è scoppiata l’emergenza sanitaria, le nostre prime preoccupazioni sono state pagare i fornitori esterni, anticipare la cassa integrazione al personale. E aprire una linea di credito per i nostri dipendenti — va avanti — così da non costringerli a riorganizzare le loro vite in funzione di un salario più basso». L’ultimo bilancio sociale di Costadoro descrive anche altre azioni di sostenibilità: gestione dei rifiuti e degli scarti. Dopo un’analisi dei processi produttivi «con il Politecnico di Torino abbiamo sviluppato un progetto di economia circolare seguendo il principio delle tre r: riduci, riusa e ricicla». Così, lo strato esterno dei chicchi di caffè oggi è fertilizzante per l’azienda agricola ecosostenibile Cà Mariuccia. «E i sacchi di juta sono usati nella sistemazione del suolo».