A Torino chi dirige guarda spesso indietro L’eccezione università
La qualità della classe dirigente è ormai una preoccupazione diffusa in città. È un’inquietudine che ci coglie quando osserviamo la povertà dei piani dell’amministrazione, la mancanza di nuovi leader che prendano la parola o l’eccitazione con cui i giornali scommettono su improbabili sbarchi di grandi investitori stranieri che salveranno la città.
Ma chi è la classe dirigente? Per evitare equivoci, iniziamo con una distinzione.
C’è un livello alto della classe dirigente, il vertice della piramide, le «100 persone che decidono tutto a Torino», come è stato scritto. Di certo è esistito in passato, ai tempi della città-fabbrica. Oggi ha perso buona parte del suo ruolo: emigrata la Fiat ed esplosa la crisi delle finanze comunali, non c’è stato più molto da dirigere. Non è di questa élite che vogliamo occuparci. La nostra ricerca ha scelto un’altra accezione, più ampia, che comprende coloro che per ruolo gestiscono le risorse e prendono le decisioni che influenzano la vita di tutti noi. Ne fanno parte i dirigenti pubblici e privati, i giornalisti, i piccoli imprenditori, i primari ospedalieri, i preti, i commercialisti e tanti altri. Sono circa 60-80 mila persone. Sono i nostri amici che hanno fatto carriera, il nostro capo, il direttore della banca o il diriche, gente scolastico. L’educazione dei nostri figli, l’organizzazione del lavoro che facciamo, se e come veniamo curati dal Covid, dipende anzitutto da loro. Cosa pensano i torinesi di questa classe dirigente? Lo deduciamo dalla fiducia dei cittadini verso le grandi organizzazioni della vita locale. Abbastanza bene l’università e la Sanità, le forze dell’ordine, le piccole imprese, le istituzioni culturali, la scuola, le associazioni con finalità sociali: godono della fiducia di una quota di torinesi fra il 50% e il 70%. Meno bene l’informazione locale, la Giustizia, le fondazioni filantropiche, le organizzazioni di rappresentanza delle categorie, le grandi imprese, le aziende di servizi pubblici, la Chiesa e l’amministrazione, che raccolgono una fiducia pari ad un terzo/la metà dei cittadini. Male le élite economii sindacati, il sindaco e la giunta e i partiti: sono apprezzati da meno di un terzo dei torinesi. Ma è nel confronto con le opinioni dei cittadini delle altre metropoli europee ed italiane che cogliamo appieno la nostra situazione. In nessun caso, eccetto l’università, Torino è fra le prime città del panel, più spesso è fra le peggiori, davanti solo a Napoli e Roma. Il sindaco e la giunta sono addirittura i peggiori in assoluto, in compagnia di Roma. È un giudizio meritato? E da cosa dipende? Lo possiamo capire osservando il grafico: mentre a Milano e Bologna le classi dirigenti sono ispirate dai valori emergenti più di quando non lo sia la massa dei cittadini, a Torino accade il contrario. La classe dirigente guarda indietro, fedele ad un passato di cui fatica a liberarsi e preoccupata di un futuro che non capisce. Invece di spingere, frena, rinunciando al ruolo fondamentale di ogni classe dirigente: guidare. Serve una svolta, anzitutto da parte dei settori più sfiduciati dai cittadini: governo della città, politici, dirigenti comunali, vertici delle grandi imprese pubbliche e private, sindacati. Debbono cambiare in profondità, rinnovarsi, mettersi in gioco, dare a tutti noi speranza e coraggio, dimostrando di poter assumere ancora un ruolo nella Torino futuro. Oppure fare spazio ai giovani, aiutandoli a crescere e a prendere il loro posto. D’altronde non è proprio questo il compito, nobile e generoso, dei padri?
Il ricambio Non è proprio questo il compito nobile e generoso dei padri?