Manuale di sopravvivenza del cinema
Un doc ripercorre 125 anni di film e sale a Torino: la settima arte non muore mai
Ritmo, passione, colta ironia. Sono solo alcuni degli ingredienti di «Manuale di storie di cinema», documentario che celebra 125 anni di settima arte a Torino. Il film, diretto da Stefano D’antuono e Bruno Ugioli, non si limita a raccontare la storia del cinema cittadino o a cantare l’epopea delle sue sale, elencate in uno scoppiettante elenco di nomi, luoghi e date, ma si preoccupa soprattutto di offrire elementi di riflessione sui cambiamenti che ne hanno influenzato il divenire. «Manuale» racconta come il cinema sia cambiato sotto la spinta di elementi che, di volta in volta, sembravano metterne in discussione la sua esistenza: le guerre, l’avvento del sonoro, della televisione; e naturalmente la tragedia dello Statuto e il noleggio vhs, fino alla massificazione delle multisale, al download e (forse) al Covid. «Il cinema non morirà, questo è certo — assicura D’antuono —. Come si dice nel documentario, “è una questione quasi scientifica”».
Ritmo, passione, colta ironia. Sono solo alcuni degli ingredienti di Manuale di storie di cinema, documentario che celebra con originalità 125 anni di settima arte a Torino. Grazie a un linguaggio frizzante e spigliato il film non si limita a raccontare la storia del cinema cittadino o a cantare l’epopea delle sue sale, elencate in uno scoppiettante elenco di nomi, luoghi e date, ma si preoccupa soprattutto di offrire elementi di riflessione sui cambiamenti che ne hanno influenzato il divenire. A raccontarne genesi e sviluppo è Stefano D’antuono, coregista con Bruno Ugioli con cui, insieme a Riccardo Menicatti, fa parte della casa di produzione Fuoricampo. «Era uno dei nostri tanti progetti in cantiere — spiega D’antuono —; poi, complice la partecipazione al contest di Torino Factory relativo a progetti di ambito regionale, abbiamo deciso di affrontare l’affascinante storia del cinema cittadino con particolare riferimento alle vita delle sue sale».
Il percorso comprendeva la realizzazione di un teaser di 3 minuti, seguito da un corto di 20 con cui il collettivo si è guadagnato il premio Torino Factory al Tff del 2019. «Anche grazie a questo riconoscimento abbiamo deciso di portarlo a 90 minuti e Rossofuoco di Davide Ferrario e Cristina Sardo ci ha aiutato a proseguire nell’intento. Purtroppo, poche settimane dopo, ci siamo trovati a lavorare in piena emergenza Covid». Una difficoltà che non traspare da un film da vedere e rivedere tanti sono i dettagli tipici, appunto, di un vero manuale di cinema. «La prerogativa era questa, certo — ammette il regista — ma non potevamo correre il rischio di annoiare il pubblico. Così abbiamo chiesto aiuto a Giaime Alonge, mio relatore di tesi al Dams, che ha accettato di interpretare con estrema autoironia un pedante e puntiglioso professore di storia del cinema». Così, con Alonge nel ruolo del coro che batte il ritmo dei capitoli e con le gag fuori campo interpretate da Martina Donà e Carlo Valli (doppiatore di Robin Williams) che alleggeriscono la sceneggiatura, si alternano gli interventi, fra gli altri, di Steve Della Casa, Sergio Toffetti, Franco Prono, Sergio Ariotti, Enrico Verra e di alcuni tra gli esercenti più noti in città che commentano le vicissitudini di un’arte giovanissima e differente da tutte le altre.
D’antuono si sofferma proprio su questi aspetti: «Rispetto ad altre discipline, in due anni di lavoro abbiamo capito quanto la condivisione sia importante nel cinema; non solo nei confronti dello spettatore, che per coerenza vedrà questo film al cinema e non in streaming, ma soprattutto con coloro che partecipano alla sua realizzazione. Penso alle collaborazioni grafiche di Donato Sansone e musicali di Stefano Danusso e Cristiano Lo Mele, grazie ai quali il nostro doc ha guadagnato in credibilità tecnica e artistica». Poi aggiunge: «Attenzione però; quello della “condivisione” è un concetto ambiguo, specie se si pensa che Facebook ha inventato la funzione “condividi” e che i social giocano esattamente su questo principio. Alla necessità civile delle sale preferisco accostare il termine “fisicità”; questi sono luoghi che fanno vivere le città, sono nati per offrire ai cittadini un insostituibile servizio di presidio pubblico, culturale e di pura socialità».
E sulla sopravvivenza della settima arte nel XXI secolo? D’antuono risponde senza esitazioni: «Non morirà, questo è certo. Come si dice nel documentario, “è una questione quasi scientifica”. Il problema è piuttosto come ne fruiremo nel futuro».
Riflessioni che, specie se espresse da un giovane, fanno ben sperare; esattamente come questo doc, perfetto per aprire con ottimismo un 2021 ancora ricco d’incognite. In fondo, Manuale racconta come il cinema sia cambiato sotto la spinta di elementi che, di volta in volta, sembravano metterne in discussione la sua stessa esistenza: come le guerre, l’avvento del sonoro prima, della televisione pubblica e privata poi; e naturalmente la tragedia dello Statuto e il noleggio vhs, fino alla massificazione delle multisale, al download e (forse) al Covid. Insomma, sembra dire il film, quello del cinema è un percorso ancora breve e accidentato, costellato da crisi e ricostruzioni ma che, nonostante tutto, sembra sfiorato da quella perturbante e ineffabile magia che si chiama eternità.
Il regista D’antuono
Non morirà mai, questo è certo: come si dice nel film, è una questione “quasi scientifica”